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Ho cambiato il titolo perché quello di prima era oggettivamente brutto. Anche se pure questo non è un granché.

Il mostro aveva una sacca nera sulle spalle. Claude lo vide per la prima volta alle 10,32.
Era una domenica mattina, pioveva. Il calendario diceva 1 Marzo. A marzo dovrebbe smettere di piovere.
Il mostro parcheggiò alle 10,28 poco lontano da casa di Claude. Finì la sigaretta che aveva tra i denti e poi uscì dalla vettura. Scavalcò il recinto che delimitava il cortile della casa dei signori Fenois alle 10,30 esatte, mentre il campanile batteva nell’aria un rintocco umido.
Alle 10,31 Claude vide un uomo agitato alzarsi dal divano, guardare fuori dalla finestra e subito dopo aprire il portoncino dell’ingresso. Quell’uomo era suo padre.
E suo padre sembrava spaventato.
Dietro al portoncino comparve il mostro.
Il signor Fenois lo fece entrare: si conoscevano ma era chiaro dall’espressione del suo viso che avrebbe preferito non sapere chi fosse.
Subito dopo gli occhi di Claude incrociarono quelli dello straniero.
Julius Fenois chiamò la moglie. La voce era tesa.
Il mostro era bagnato, i suoi abiti gocciolavano sul tappeto dove Claude stava giocando fino a un momento prima, le sue scarpe erano lorde di fango. Sua madre non sarebbe stata contenta.
Odiò quell’uomo sin dal primo istante in cui entrò nella loro casa.
Anne Fenois comparve dalla porta della cucina con un sorriso, accompagnata da una nuvola di vapore: stava cucinando il pranzo.
Quando vide il mostro lasciò cadere a terra lo strofinaccio che aveva in mano e il sorriso crollò come una diga. Un istante dopo franò a terra anche lei, in ginocchio, singhiozzante.
Il signor Fenois corse a sorreggerla.
Claude iniziò ad avere davvero paura.
Il mostro sfilò la sacca dalla spalla e la posò a terra. La aprì e ne uscirono due lunghi coltelli.
L’operazione durò pochi istanti.
Le lame brillarono sotto la luce dei faretti del soggiorno.
Il mostro non aveva espressione, non aveva un volto, solo due occhi duri e diseguali, come due fiocchi di neve di ferro.
Una specie di preghiera fu l’ultima parola che Claude udì da suo padre, mista col pianto.
“Non facciamola tanto lunga”. Il mostro aveva anche una voce, quindi. Ed era stranamente bella.
In un lampo fu sui coniugi. Claude vide la scena da pochi metri di distanza, dietro al divano.
I coltelli danzarono. Una lama sfigurò il viso di sua madre e poi le si conficcò nel petto. L’altra recise per metà il collo di suo padre, che si reclinò lentamente verso destra, finché il capo non toccò quasi la spalla.
In pochi secondi fu tutto finito. Il sangue scuro dei suoi genitori inzuppava il tappeto.
Claude era terrorizzato, non riuscì neppure a muovere un muscolo.
Il mostro si voltò verso di lui ma non fece neppure la fatica di fare due passi per raggiungerlo: lanciò uno dei due coltelli che raggiunsero il corpo del bambino, poco sopra la cintura.
Si piantò dove il mostro sapeva esserci lo stomaco.
Claude sentì un dolore inimmaginabile poco prima di accasciarsi al suolo.
“Morirai dissanguato, mi dispiace.” Il mostro gli sfilò il coltello dalla pancia, ripose con calma tutto nella sacca e se ne andò senza degnare di uno sguardo il tremendo spettacolo che si lasciava alle spalle.
Claude fece appena in tempo a vederlo uscire dalla porta, poi la vista gli si affievolì e perse i sensi.
Alle 10,40 il mostro se ne era andato dalla sua vita, veloce e letale com’era venuto.

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