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Una provocazione linguistica: "feminacidio"

In questi ultimi giorni il femminicidio ha avuto la parte del leone su tutta la stampa italiana (e non solo). Ma non vogliamo parlare di ciò sotto il profilo sociologico, non è nostro compito; ci sono persone addette per questo. Intendiamo parlare del termine in oggetto sotto l'aspetto linguistico. Perché? Perché il vocabolo -- a nostro modo di vedere -- non è ben formato: quella "i" inserita tra la "n" e la "c" (femminIcidio) è abusiva. Il lessema è composto con il sostantivo femmina è il suffisso "-cidio", quindi, per logica dovrebbe essere "femminacidio" o, facendolo derivare dal femminile plurale del sostantivo, "femminecidio". Se i due termini "corretti" non piacciono si può/potrebbe ricorrere al latino, come nel caso di omicidio che deriva, appunto, dal latino "homicidiu(m)" e divenuto in italiano omicidio per la caduta dell'h iniziale e la trasformazione della "u" in "o". Dal latino "femina", dunque, aggiungendo il suffisso "-cidio" abbiamo 'feminacidio'. In ultima analisi, e forse è la cosa migliore, perché non adoperare la forma sincopata "femmin(i)cidio"? Quanto detto per femminicidio  vale  -- sempre a nostro modo di vedere - - per tutte le parole terminanti in -cidio non derivanti dal latino (anche se cristallizzate dall'uso). Attendiamo gli improperi e gli strali dei soliti linguisti; se dovessero arrivare la cosa ci lascerebbe nella più "squallida indifferenza", convintissimi della bontà della nostra tesi.

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