Scritto da © Anonimo - Mar, 18/05/2010 - 11:33
Seduti a tentoni gli occhi riposano
sulle gobbe dei muri a secco
che fu acqua di vento e timore.
Sgravidano nei rivoli
nascendo le pozze con quel vago vagito
a tinta d’intorno.
Nelle rubriche i soliti nomi vivacchiano a memoria.
Si potrebbe questo o tal altra
ma il telefono dista un’alzata di voglia
che pesa la terra.
Forza la fuga uno squillo
invitante: aspetto le gambe,
aspetto a quel nome.
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