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Alfio, aspettiamoci...

Amo i semafori, anche quelli perenni che quando ti avvicini fai gli scongiuri per beccare il verde. Credo di essere l’unica marziana che all’approssimarsi degli incroci prega di prendere un rosso senza fine. Sono l’unica terrestre ad avere la speranza che quel semaforo possa essere eternamente verniciato di rosso e non fatto di lampadine multicolori che si alternano regolandoti il flusso di percezioni e sensazioni. Sono momenti della giornata dove mi gusto la città, la vedo scorrere e respiro la vita d’altri senza che loro se ne possano accorgere; un po’ come capitava a quel tipo che poi ci ha lasciato le penne sul suo grande raccordo.

Di questi tempi mi sta capitando con Alfio, così ho soprannominato l’uomo delle quindici e trenta al semaforo di Via Caravaggio.

E’ dall' inizio della settimana che lo vedo sempre alla stessa ora attaccato al bidone della spazzatura sotto al portico di fronte alla tabaccheria. Ha sempre quella maglietta color carne che pare essere trasparente, un paio di bermuda militare che lo fanno sembrare in assetto da guerra e una tracolla nera sulla spalla destra talmente gonfia che sembra voler esplodere. 

Si muove circoscritto e quando incrocia occhi stranieri, china la testa verso il collo e sparisce dentro alle spalle come una tartaruga al carapace. Muove qualche passo, poi torna indietro per non allontanarsi troppo dall’oggetto dei suoi desideri. Gli vedo la coda degli occhi svirgolare veloce verso le tempie per accertarsi che nessuno metta mano al suo bidoncino. Ancora dentro alla sua corazza, come a dire – nessuno, qui, può vedermi – lentamente allunga il collo e lo schiaffa nel sacco nero. Resta in apnea qualche secondo, riemerge, guarda a destra e a sinistra poi in un lampo fionda le mani dentro la spazzatura e ritorna con un mazzetto di gratta e vinci già abbondantemente grattugiati. 

La fase successiva è talmente veloce che l’ho messa a fuoco solo a metà settimana, dopo aver inserito nel lunotto del mio scooter la moviola. Si vede la mano sinistra dell’Alfio ridurre i grattini in un’unica presa micidiale intanto che la mano destra fa spazio nella tasca della tracolla dove altri grattini sono in attesa della supervisione. 

Il primo giorno che ho visto questa scena ho cercato conforto negli automobilisti che avevo al fianco, li interrogavo con gli occhi come a chiedere:

“ avete visto anche voi quello che ho visto io, o mi sono sognata?”, ma nessuno sembrava essersi accorto della presenza dell’Alfio. Tutti assorti nel proprio “adesso vado a fare la spesa” o “fra un’ora debbo essere dall’estetista..se questo semaforo diventasse verde, merda!”. 

Tutti soli dentro macchine al sole. Invece Alfio è lì, in compagnia del suo non vincere, nell’ombra di un portico, nel complicato mondo del rifiuto, dove tutto viene scartato tranne la possibilità della vittoria. Me lo immagino come il contabile dei perdenti, una figura buona, pacifica, che tiene il conto dei tanti come lui che mai avranno la possibilità del “colpo di culo”. Quasi una serena rassicurazione, un dar senso e consistenza al suo essere vinto e non vincitore.

Oggi è sabato. Il week end è già entrato nel vivo e io sono reduce da una settimana calda e per nulla vincente. Tanto che il semaforo dell’Alfio lo trovo nel suo verde più acceso. Lo passo con la disattenzione dei giorni persi, quelli nei quali ti domandi cos’hai fatto e tirando le somme hai tanti zero fra le mani. E’ proprio sulla striscia dello stop che avverto una scossa morbida, come se una medusa mi avesse attaccata con chili e chili di melassa e m’avesse attraversata per il senso lungo dei miei perché. 

Butto un occhio fra il portico e il bidoncino ma non vedo il mio contabile all’opera. Mi blocco all’istante nel bel mezzo dell’incrocio, pianto lo scooter sul cavalletto laterale come fosse un giorno in bilico e nel frattempo che il semaforo pedonale dice “AVANTI”, mi metto sulle strisce come un vigile sicuro del suo dirigere il traffico. Ho la testa in movimento più che il cervello. Cerco di qua e cerco di là. Cerco l’Alfio. Poi chino il capo verso il basso e vedo che ho il piede destro come immerso in una medusa cangiante; riesco a muovermi a fatica e sobbalzo. No! Sono solo con il piede su di un gratta e vinci ancora da grattugiare. Lo raccolgo e in un attimo sono dentro dal tabaccaio che è sempre all’angolo. Non ho né buongiorno né buonasera da sfoggiare ma un solo -scusi, oggi il signore delle quindici e trenta al bidoncino della spazzatura, dov’è?-. Il tabacchino mi guarda un po’ stranito e mi risponde -chi?-.

Allora capisco tutto. Non gratterò il gratta e vinci. Non voglio né perdere né vincere. Voglio partecipare. Aspetterò lunedì. Il sabato e la domenica sono stati fatti per riposare.

Lunedì spero che Alfio mi veda. Così gratteremo meglio, in due.

 
 
 
* Un grazie special al Max Pagani per le incursioni nelle zone d'ombra dell'Alfio. Senza di lui sarebbe rimasto tappato al buio dei miei cassettini dei racconti inevasi! :-)))
 

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