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SOS razzisti

Due storie razziste particolarmente odiose meritano una stilla di attenzione a causa della loro demoralizzante simbologia. 1), un branco di rabbiosi trogloditi (che pare siano i medesimi delle varie “curve” da stadio) attacca con una scusa qualsiasi (una ragazza che aveva mentito sul suo primo rapporto sessuale, imputandolo ad un atto di violenza dei Rom) un accampamento Rom a Torino. Bruciano tutto, feriscono persone, compiono atti tribali di puro delirio, di pura crudeltà contro un capro espiatorio qualsiasi, quello più a portata di mano. 2), una specie di sub-umano va a cercare, a Firenze (pensa un po’, la capitale del Rinascimento…), qualche “negro” da ammazzare. Purtroppo ne trova due e li fa fuori, con una magnum 357 (non a caso l’arma cinematografica per eccellenza dei film americani). Ferisce ancora qualcuno, poi però è intercettato dalla polizia e circondato. A quel punto e direi con sollievo generale gira l’arma verso di sé e preme il grilletto…
 

Guardando le facce (quando si conoscono) di questi paladini delle fogne dell’intelligenza  si prova una specie di disgusto, perché immediatamente si percepisce la bassezza, la pochezza, la volgarità di quelle espressioni inibite e scimunite che il loro sguardo analfabeta manda in onda. Allora viene evidente anche il motivo della loro sanguinaria sciocchezza: cercano di affermare l’esistenza di un (o più)  essere più inferiore di loro. E siccome non ne trovano nel panorama spirituale generico in cui si muovono, si provano a far credere ad una inferiorità diversa da quella loro, cioè  altra da quella intellettuale e morale. E cosa di meglio della diversità etnica, o addirittura pigmentale? In sostanza gridano: “Non io sono inferiore, ma lui, perché è negro!”. È lui! È lui!, vecchio trucco puerile di tutti i “traviati” che sono ben consci della propria grettezza, delle proprie miseria e meschinità, ma che cercano disperatamente di scaricarle in altrui.  
In queste vicende, oltre ai vari profili sociologici già tracciati dagli esperti del ramo, si estrinseca altresì il dramma della mediocrità, ove, in un contesto in cui apparire appare più fondativo ed essenziale che vivere, chi è davvero mediocre respinge lontano da sé l’assunzione di responsabilità della propria inadeguatezza, la scarica su un totem immaginario, ritenuto più mediocre del Sé, e accede alla gloria dei media mettendo sotto i loro riflettori l’unica cosa che è davvero capace di mettere in scena: la sua feroce e disperata macelleria.
PS: ci avverte la TV che il macellaio di Firenze pare trattavasi di “persona colta”. Ahimè, è la TV che non lo è e che non ha i requisiti per dirlo. Affermare poi che taluno sarebbe colto per le cattive letture che frequenta depone a sfavore di chi lo afferma. L’assassino “colto”, a quanto pare, leggeva Tolkien. Sì, e magari s’immaginava che fosse un libro di storia… Il povero Tolkien, imaginifico professorino inglese affascinato dalla scia preraffaellita e Jugendstil, certo questa deriva della sua fatica non se l’immaginava. A lui piacevano le favole medioeviste, i soldatini di piombo, magari, i draghi e le principesse… doppio ahimè: come si fa a scambiare per politica una specie di Disneyland ante-litteram? E specialmente, come si fa a dire “colto” chi se ne innamora?

 
 

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