Scritto da © Hjeronimus - Ven, 10/09/2010 - 20:59
Vivere è stato una tempesta, come attraversare un vasto mare e venir continuamente risospinti da alti flutti rinculanti. Ma la vita spingeva verso l’altra riva, dall’altra parte, verso un “porto di belle navi”, come disse il poeta, ove attraccare il cuore ed il suo patos e lasciarli soli, lì, sulla rada a seccarsi al sole. E sarebbe stata una bella morte quella, un morire di abbronzatura, senza creme né cremazioni, accanto all’acqua infinita che ci avrebbe prima o poi reinghiottito.
Invece di questo, questa tormenta d’acqua rabbiosa che regurgita onde a gancio, con cui ripescarti e rigettarti per sempre nel medesimo sortilegio, nel medesimo cerchio. Così che infine guadagniamo bensì l’altra riva, ma siamo naufraghi gettati sulla sponda dell’ade, ove, a momenti precipiteremo noi pure, noi ultimi sopravvissuti dell’ecatombe della vita, del suo sfascio senza determinazioni, della sua falce casuale, qualunquista, gettata frammezzo al mondo a rammemorarci la nullità d’ogni appartenenza, d’ogni spremuta di senso con cui abbiamo indefessamente e infruttuosamente e per sempre tentato di irrorare il non-sense della vita...
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