Scritto da © gatto - Ven, 29/07/2022 - 14:50
Marco Terenzio Varrone
DE LINGUA LATINA
Traduzione e note di Maria Rosaria De Lucia
Recensione di Raffaele Piazza
Il volume che prendiamo in considerazione in questa sede presenta una premessa di Nazario Pardini intitolata Un viaggio dal De lingua Latina di M. Terenzio Varrone alla conoscenza dell’italiano nell’opera di Maria Rosaria De Lucia e un’introduzione della stessa curatrice scandita nelle seguenti sezioni: Breve storia dell’etimologia, Struttura originaria dell’opera, Il manoscritto, Avvertenze.
Seguono i libri del saggio De lingua Latina di Varrone dal quinto al decimo.
A proposito dell’utilità dell’opera scrive Pardini che meditare su vocaboli che sono comuni nel nostro quotidiano ma il cui uso è, per così dire, meccanico, aprirà nuovi orizzonti di pensiero e si può aggiungere che sono proprio i vocaboli nel loro assemblarsi a costituire una lingua.
Le parole di Varrone hanno l’innegabile fascino di farci immaginare la vita nei tempi dell’antichità, di proiettarci nel quotidiano del mondo della latinità, della storia di Roma e dell’impero romano.
L’esistenza dei nostri antenati latini è lontana anni luce; la malia e il fascino di usi e costumi di cui parla Varrone sono per noi motivo di vivo interesse per penetrare filologicamente in una realtà lontana di quando si veneravano gli dei e i lari e i penati e lo spirito della guerra era fiorente e c’erano anche i poeti erotici e quelli patriottici per cantare le gesta dei potenti.
Come scrive la De Lucia nell’introduzione esauriente e ricca di acribia nasce spontanea la domanda del chiedersi cosa può indurre un lettore del III millennio ad accostarsi ad un’opera risalente a più di 2060 anni fa. Per l’appassionato di lingua latina la risposta è facile: trovare nuovi spunti e nuove prospettive da cui guardare all’idioma della Roma antica, con l’ausilio dell’etimologia.
Per chi invece ha un rapporto di diffidenza, se non addirittura di idiosincrasia, per quella lingua odiata fin dai banchi di scuola, perché ricordata solo come un labirinto di noiose regole grammaticali, può essere l’occasione per scoprire che il latino non era e non è solo declinazioni e sintassi, ma era la lingua viva che ha permesso a Varrone di lasciarci una vera enciclopedia sul mondo romano.
I brani degli autori classici, che costituiscono “le versioni” proposte a scuola, sono in massima parte, se non esclusivamente, incentrati su gesta leggendarie, battaglie, assedi, eroi, ma non si sa nulla della quotidianità del popolo romano.
Leggere il De lingua Latina significa aprirsi al mondo realmente vissuto da essere umani come noi che dovevano lavorare, nutrirsi, vestirsi, far di conto, dilettarsi nell’area romana, ante Cristo.
Nel Libro V in L’origine delle parole Varrone scrive di essersi «…proposto di esporre, in sei libri, il modo in cui, nella lingua latina, furono imposti i nomi alle cose. Dei sei libri ne ho già compilati tre precedenti a questo, nei quali ho trattato la materia che chiamano studio dell’etimologia e li ho dedicati a Settimio».
Continua Varrone affermando che «…ognuna e tutte le parole hanno due aspetti naturali, da cosa e a cosa il nome sia stato imposto, così quando si va a ricercare da cosa derivi “pertinacia”, persistenza, si dimostra che deriva da “pertendere” persistere; secondo a quale atteggiamento il termine pertinacia sia applicato, si parla di ostinazione quando non ci si dovrebbe ostinare e ci si ostina; invece si parla di perseveranza quando si persevera in ciò in cui è bene perseverare...».
Uno studio complesso e profondo quello di Varrone sulla lingua latina sul quale si potrebbero scrivere fiumi d’inchiostro ben oltre lo spazio di una recensione.
Raffaele Piazza
Marco Terenzio Varrone, De lingua Latina, traduzione e note di Maria Rosaria De Lucia, premessa di Nazario Pardini, Guido Miano Editore, Milano 2021; isbn 978-88-31497-08-4.
Marco Terenzio Varrone
DE LINGUA LATINA
Traduzione e note di Maria Rosaria De Lucia
Recensione di Raffaele Piazza
Il volume che prendiamo in considerazione in questa sede presenta una premessa di Nazario Pardini intitolata Un viaggio dal De lingua Latina di M. Terenzio Varrone alla conoscenza dell’italiano nell’opera di Maria Rosaria De Lucia e un’introduzione della stessa curatrice scandita nelle seguenti sezioni: Breve storia dell’etimologia, Struttura originaria dell’opera, Il manoscritto, Avvertenze.
Seguono i libri del saggio De lingua Latina di Varrone dal quinto al decimo.
A proposito dell’utilità dell’opera scrive Pardini che meditare su vocaboli che sono comuni nel nostro quotidiano ma il cui uso è, per così dire, meccanico, aprirà nuovi orizzonti di pensiero e si può aggiungere che sono proprio i vocaboli nel loro assemblarsi a costituire una lingua.
Le parole di Varrone hanno l’innegabile fascino di farci immaginare la vita nei tempi dell’antichità, di proiettarci nel quotidiano del mondo della latinità, della storia di Roma e dell’impero romano.
L’esistenza dei nostri antenati latini è lontana anni luce; la malia e il fascino di usi e costumi di cui parla Varrone sono per noi motivo di vivo interesse per penetrare filologicamente in una realtà lontana di quando si veneravano gli dei e i lari e i penati e lo spirito della guerra era fiorente e c’erano anche i poeti erotici e quelli patriottici per cantare le gesta dei potenti.
Come scrive la De Lucia nell’introduzione esauriente e ricca di acribia nasce spontanea la domanda del chiedersi cosa può indurre un lettore del III millennio ad accostarsi ad un’opera risalente a più di 2060 anni fa. Per l’appassionato di lingua latina la risposta è facile: trovare nuovi spunti e nuove prospettive da cui guardare all’idioma della Roma antica, con l’ausilio dell’etimologia.
Per chi invece ha un rapporto di diffidenza, se non addirittura di idiosincrasia, per quella lingua odiata fin dai banchi di scuola, perché ricordata solo come un labirinto di noiose regole grammaticali, può essere l’occasione per scoprire che il latino non era e non è solo declinazioni e sintassi, ma era la lingua viva che ha permesso a Varrone di lasciarci una vera enciclopedia sul mondo romano.
I brani degli autori classici, che costituiscono “le versioni” proposte a scuola, sono in massima parte, se non esclusivamente, incentrati su gesta leggendarie, battaglie, assedi, eroi, ma non si sa nulla della quotidianità del popolo romano.
Leggere il De lingua Latina significa aprirsi al mondo realmente vissuto da essere umani come noi che dovevano lavorare, nutrirsi, vestirsi, far di conto, dilettarsi nell’area romana, ante Cristo.
Nel Libro V in L’origine delle parole Varrone scrive di essersi «…proposto di esporre, in sei libri, il modo in cui, nella lingua latina, furono imposti i nomi alle cose. Dei sei libri ne ho già compilati tre precedenti a questo, nei quali ho trattato la materia che chiamano studio dell’etimologia e li ho dedicati a Settimio».
Continua Varrone affermando che «…ognuna e tutte le parole hanno due aspetti naturali, da cosa e a cosa il nome sia stato imposto, così quando si va a ricercare da cosa derivi “pertinacia”, persistenza, si dimostra che deriva da “pertendere” persistere; secondo a quale atteggiamento il termine pertinacia sia applicato, si parla di ostinazione quando non ci si dovrebbe ostinare e ci si ostina; invece si parla di perseveranza quando si persevera in ciò in cui è bene perseverare...».
Uno studio complesso e profondo quello di Varrone sulla lingua latina sul quale si potrebbero scrivere fiumi d’inchiostro ben oltre lo spazio di una recensione.
Raffaele Piazza
Marco Terenzio Varrone, De lingua Latina, traduzione e note di Maria Rosaria De Lucia, premessa di Nazario Pardini, Guido Miano Editore, Milano 2021; isbn 978-88-31497-08-4.
Marco Terenzio Varrone
DE LINGUA LATINA
Traduzione e note di Maria Rosaria De Lucia
Recensione di Raffaele Piazza
Il volume che prendiamo in considerazione in questa sede presenta una premessa di Nazario Pardini intitolata Un viaggio dal De lingua Latina di M. Terenzio Varrone alla conoscenza dell’italiano nell’opera di Maria Rosaria De Lucia e un’introduzione della stessa curatrice scandita nelle seguenti sezioni: Breve storia dell’etimologia, Struttura originaria dell’opera, Il manoscritto, Avvertenze.
Seguono i libri del saggio De lingua Latina di Varrone dal quinto al decimo.
A proposito dell’utilità dell’opera scrive Pardini che meditare su vocaboli che sono comuni nel nostro quotidiano ma il cui uso è, per così dire, meccanico, aprirà nuovi orizzonti di pensiero e si può aggiungere che sono proprio i vocaboli nel loro assemblarsi a costituire una lingua.
Le parole di Varrone hanno l’innegabile fascino di farci immaginare la vita nei tempi dell’antichità, di proiettarci nel quotidiano del mondo della latinità, della storia di Roma e dell’impero romano.
L’esistenza dei nostri antenati latini è lontana anni luce; la malia e il fascino di usi e costumi di cui parla Varrone sono per noi motivo di vivo interesse per penetrare filologicamente in una realtà lontana di quando si veneravano gli dei e i lari e i penati e lo spirito della guerra era fiorente e c’erano anche i poeti erotici e quelli patriottici per cantare le gesta dei potenti.
Come scrive la De Lucia nell’introduzione esauriente e ricca di acribia nasce spontanea la domanda del chiedersi cosa può indurre un lettore del III millennio ad accostarsi ad un’opera risalente a più di 2060 anni fa. Per l’appassionato di lingua latina la risposta è facile: trovare nuovi spunti e nuove prospettive da cui guardare all’idioma della Roma antica, con l’ausilio dell’etimologia.
Per chi invece ha un rapporto di diffidenza, se non addirittura di idiosincrasia, per quella lingua odiata fin dai banchi di scuola, perché ricordata solo come un labirinto di noiose regole grammaticali, può essere l’occasione per scoprire che il latino non era e non è solo declinazioni e sintassi, ma era la lingua viva che ha permesso a Varrone di lasciarci una vera enciclopedia sul mondo romano.
I brani degli autori classici, che costituiscono “le versioni” proposte a scuola, sono in massima parte, se non esclusivamente, incentrati su gesta leggendarie, battaglie, assedi, eroi, ma non si sa nulla della quotidianità del popolo romano.
Leggere il De lingua Latina significa aprirsi al mondo realmente vissuto da essere umani come noi che dovevano lavorare, nutrirsi, vestirsi, far di conto, dilettarsi nell’area romana, ante Cristo.
Nel Libro V in L’origine delle parole Varrone scrive di essersi «…proposto di esporre, in sei libri, il modo in cui, nella lingua latina, furono imposti i nomi alle cose. Dei sei libri ne ho già compilati tre precedenti a questo, nei quali ho trattato la materia che chiamano studio dell’etimologia e li ho dedicati a Settimio».
Continua Varrone affermando che «…ognuna e tutte le parole hanno due aspetti naturali, da cosa e a cosa il nome sia stato imposto, così quando si va a ricercare da cosa derivi “pertinacia”, persistenza, si dimostra che deriva da “pertendere” persistere; secondo a quale atteggiamento il termine pertinacia sia applicato, si parla di ostinazione quando non ci si dovrebbe ostinare e ci si ostina; invece si parla di perseveranza quando si persevera in ciò in cui è bene perseverare...».
Uno studio complesso e profondo quello di Varrone sulla lingua latina sul quale si potrebbero scrivere fiumi d’inchiostro ben oltre lo spazio di una recensione.
Raffaele Piazza
Marco Terenzio Varrone, De lingua Latina, traduzione e note di Maria Rosaria De Lucia, premessa di Nazario Pardini, Guido Miano Editore, Milano 2021; isbn 978-88-31497-08-4.
Marco Terenzio Varrone
DE LINGUA LATINA
Traduzione e note di Maria Rosaria De Lucia
Recensione di Raffaele Piazza
Il volume che prendiamo in considerazione in questa sede presenta una premessa di Nazario Pardini intitolata Un viaggio dal De lingua Latina di M. Terenzio Varrone alla conoscenza dell’italiano nell’opera di Maria Rosaria De Lucia e un’introduzione della stessa curatrice scandita nelle seguenti sezioni: Breve storia dell’etimologia, Struttura originaria dell’opera, Il manoscritto, Avvertenze.
Seguono i libri del saggio De lingua Latina di Varrone dal quinto al decimo.
A proposito dell’utilità dell’opera scrive Pardini che meditare su vocaboli che sono comuni nel nostro quotidiano ma il cui uso è, per così dire, meccanico, aprirà nuovi orizzonti di pensiero e si può aggiungere che sono proprio i vocaboli nel loro assemblarsi a costituire una lingua.
Le parole di Varrone hanno l’innegabile fascino di farci immaginare la vita nei tempi dell’antichità, di proiettarci nel quotidiano del mondo della latinità, della storia di Roma e dell’impero romano.
L’esistenza dei nostri antenati latini è lontana anni luce; la malia e il fascino di usi e costumi di cui parla Varrone sono per noi motivo di vivo interesse per penetrare filologicamente in una realtà lontana di quando si veneravano gli dei e i lari e i penati e lo spirito della guerra era fiorente e c’erano anche i poeti erotici e quelli patriottici per cantare le gesta dei potenti.
Come scrive la De Lucia nell’introduzione esauriente e ricca di acribia nasce spontanea la domanda del chiedersi cosa può indurre un lettore del III millennio ad accostarsi ad un’opera risalente a più di 2060 anni fa. Per l’appassionato di lingua latina la risposta è facile: trovare nuovi spunti e nuove prospettive da cui guardare all’idioma della Roma antica, con l’ausilio dell’etimologia.
Per chi invece ha un rapporto di diffidenza, se non addirittura di idiosincrasia, per quella lingua odiata fin dai banchi di scuola, perché ricordata solo come un labirinto di noiose regole grammaticali, può essere l’occasione per scoprire che il latino non era e non è solo declinazioni e sintassi, ma era la lingua viva che ha permesso a Varrone di lasciarci una vera enciclopedia sul mondo romano.
I brani degli autori classici, che costituiscono “le versioni” proposte a scuola, sono in massima parte, se non esclusivamente, incentrati su gesta leggendarie, battaglie, assedi, eroi, ma non si sa nulla della quotidianità del popolo romano.
Leggere il De lingua Latina significa aprirsi al mondo realmente vissuto da essere umani come noi che dovevano lavorare, nutrirsi, vestirsi, far di conto, dilettarsi nell’area romana, ante Cristo.
Nel Libro V in L’origine delle parole Varrone scrive di essersi «…proposto di esporre, in sei libri, il modo in cui, nella lingua latina, furono imposti i nomi alle cose. Dei sei libri ne ho già compilati tre precedenti a questo, nei quali ho trattato la materia che chiamano studio dell’etimologia e li ho dedicati a Settimio».
Continua Varrone affermando che «…ognuna e tutte le parole hanno due aspetti naturali, da cosa e a cosa il nome sia stato imposto, così quando si va a ricercare da cosa derivi “pertinacia”, persistenza, si dimostra che deriva da “pertendere” persistere; secondo a quale atteggiamento il termine pertinacia sia applicato, si parla di ostinazione quando non ci si dovrebbe ostinare e ci si ostina; invece si parla di perseveranza quando si persevera in ciò in cui è bene perseverare...».
Uno studio complesso e profondo quello di Varrone sulla lingua latina sul quale si potrebbero scrivere fiumi d’inchiostro ben oltre lo spazio di una recensione.
Raffaele Piazza
Marco Terenzio Varrone, De lingua Latina, traduzione e note di Maria Rosaria De Lucia, premessa di Nazario Pardini, Guido Miano Editore, Milano 2021; isbn 978-88-31497-08-4.
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