Scritto da © ferdigiordano - Lun, 23/12/2019 - 13:13
Piove. Una sottigliezza appena percepita
in un discorso nebuloso tra figli: io e Gil.
E’ solitudine che precipita, non greve né opprimente;
direi rigenerante: può liberare gli intonaci dal sale marino;
e le forze ritornano dove la pelle è gonfia.
Gil guarda in alto con gli occhi socchiusi.
Chissà se gli giova questa riflessione: la goccia è sola
quando cade, come tutti i frutti.
Il vapore è densità, la foschia, quindi, comunione
- la folla riempie di gioia gli scorpioni.
Sull’asfalto, e in auto, passano volti gelidi.
Nessuno guarda dal lato che scorre.
Sembra che i viaggiatori siano trainati
da un filo invisibile, ma aggrovigliato e temibile,
legato ad un segnalatore luminoso.
Tutto è più lento, meno che la voce.
Corre voce che chi attraversa la strada
produca un’eco con le orme, ora,
ma si ascolta solo il traguardo che apre il coro.
Una donna tiene alta la cartella sui capelli neri,
si bagna le spalle, il viso si riga e vede cose
che noi uomini non potremo mai immaginare.
Un’altra usa un balcone, resta all’asciutto;
e ansima: pioverà ancora per poco.
Volevo anche dire che Gil mi contagia
e insieme fissiamo le nuvole ai piedi
come suole.
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