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Racconto d'autunno

Nella notte di una solita interpretazione di noi, che vogliamo vedere la luna ed il sole di questo cielo notturno, ci fermiamo a contemplarlo dal balcone affascinati: è nero, a tratti illuminato da lampi, che irrompono con un fragoroso boato; gli alberi agitati dal vento rabbioso, che soffia contro le finestre. L'uccello sperduto cerca riparo tra i rami di un vecchio pino. Laggiù, nel bosco, odi il fruscio delle foglie, come spiriti chiacchierini, e lo sbattere d'ali dei gufi, che escono dai loro rifugi. E' allora che le fate del bosco si mostrano; la loro veste è del colore delle foglie, hanno occhi marroni come le castagne e capelli del colore delle foglie in autunno. Se sei fortunato, puoi vederle mentre danno al bosco il colore più adatto all'occasione. Vedrai anche altre cose, come il solito scoiattolo ritardatario, che si affretta a rientrare nella tana, o mamma lepre, che richiama a casa il suo piccolo rimasto fuori troppo a lungo (che birbante!). Se poi sei molto attento, potrai vedere i funghi spuntare dal terreno, coperto di foglie bagnate dalla costante pioggia. Certo, dovrai indossare un impermeabile con il cappuccio e coprirti bene ma ricorda che chi esce ad osservare nei giorni di pioggia, può vedere cose che chi esce solo con il bel tempo non vedrà mai.
Il folletto correva fra le gocce di pioggia. Perle brillanti balzavano attorno a lui quando il suo piede si posava su una foglia. 
Plic, plac: saltava leggero e ridente, avvolto da una nuvola di gioielli d'acqua, belli come nessun gioiello umano potrà mai essere. 
Ogni cosa nel bosco vibrava di vita, seguendo il soffio del vento di fine Settembre e assorbendo la liquida linfa vitale che le nubi regalavano.  Gli animali selvatici, al riparo nel calore delle proprie tane, tiravano fuori il capino e arricciavano il naso, fiutando l'odore pungente dell'umidità nel sottobosco: terra, foglie, castagne appena uscite dai ricci, funghi... Quanti segreti e quanti tesori nascondeva!
Il folletto continuava la sua corsa leggera, lasciandosi dietro ogni tristezza, ogni dubbio, ogni rimpianto o rancore, ogni legame che imprigionava l'anima in una scura corazza, impedendole di prendere il volo. Guardava gli affanni umani dall'alto con occhi ridenti, lui solo e le creature come lui capaci di vivere la gioia ed il guizzo del momento presente, arricciando le narici come gli animali del bosco per fiutare il futuro; senza legami con il passato, senza vincoli con il presente, senza speranze per il futuro. Il folletto non doveva sperare, perché sapeva guardare ed ascoltare e quindi conoscere. Non gioiva che per il presente, non amava che il futuro ed il passato era una lieve carezza, che gli aveva regalato il bene dell'esperienza.
Gli umani in genere non riuscivano a vederlo ne' ne avvertivano la presenza. Solo alcuni dal cuore più puro e dalla mente più sgombra di preconcetti, che si mantenevano in contatto con le energie della natura e che, come gli animali del bosco e le creature fatate, sapevano arricciare il naso e drizzare le orecchie. Gli altri conducevano le loro vite, ignari che le creature vestite di foglie e fiori li osservavano con bonaria ironia, mentre si affannavano per cose prive di significato, giudicando la vita su un piano gretto e materiale e dando tanta importanza ad un'apparenza effimera, destinata a non durare. Questi erano sordi al richiamo della natura e più si impoverivano dentro, più riempivano la propria vita di suoni, oggetti e persone, a disagio di fronte al silenzio ed al vuoto, che li costringevano a sentire quell'inquietudine che li coglieva appena i loro ritmi rallentavano e si accorgevano di non saper "cosa fare" e di come la loro vita fosse priva di un vero significato.

 

Il folletto era arrivato sulla punta più estrema di un ramo d'abete ed aveva iniziato a dondolarsi, slanciandosi ora verso il cielo ora verso il lago sottostante. Sembrava uno specchio, dove il cielo e gli alberi si riflettevano, creando un bosco sommerso. Da una parte le ninfee galleggiavano tremolanti, seguendo il movimento delle lievi onde e increspature dell'acqua. Lucide pedane verde scuro che creavano un prato semovente in una sorta di giardino acquatico. Il folletto non resistette alla tentazione di saltarci sopra, si slanciò e puff! Leggerissimo il suo piede si posò sulla foglia di ninfea, talmente leggero che questa restò a filo d'acqua, senza immergersi neanche un pochino.  Intorno a lui gli alberi svettavano alti verso il cielo, mentre quelli in riva al lago allungavano i loro rami fino a toccare l'acqua e questi si aggrovigliavano con cespugli di piante acquatiche, che a loro volta si confondevano con altre alte piante acquatiche dai pennacchi bianchi, creando un muro che nascondeva quell'angolo d'acqua agli occhi dei più. Per vederlo, bisognava aver voglia di inoltrarsi nella vegetazione intricata e, magari, graffiarsi un po'.
Una ranocchia saltò su una ninfea accanto a lui.
 - Che giornata umida, vero? L'ideale per noi ranocchie - gracidò ciarliera.
- Mi piacerebbe fare il giro del lago. Potresti portarmi sulle spalle? Te ne sarei grato. -
- Non c'è problema! Ma forse con un ombrello ti bagneresti meno. - 
E chiamò un corvo, che scese in picchiata da un punto nascosto portando una grossa foglia, che il folletto prese per lo stelo e poté usare come ombrello. In realtà non aveva alcun problema a bagnarsi e quello della rana e del corvo era un gesto di pura cortesia, che gli animali del bosco tributavano alle creature fatate, di cui avevano un gran rispetto. Il folletto lo apprezzò molto. Il corvo intanto era tornato a rifugiarsi nel fogliame, dove si scrollò accuratamente le penne, gracchiando un po' scorbutico - Io, invece, non amo per niente l'umidità! -
- I corvi devono sempre brontolare, cra! Poi si offendono, se li chiamano uccelli del malaugurio, cra! Mai più di qua, mai più di la...cra! -
- Ahahah! Brontolare è nella loro natura ma non sono cattivi, anzi, sono animali molto saggi. Qualcuno li ha anche considerati sacri, come voi ranocchie - sorrise.
- Cra cra! Davvero?-
- Certo. -
- Oh beh...cra! Certo, hem, noi siamo molto sagge. Sappiamo un sacco di cose, in realtà; solo che non ci piace vantarci. Siamo tipi alla mano, noi! -
 La ranocchia si pavoneggiava ed avanzava dandosi un'aria di importanza e condiscendenza che incuriosiva gli altri animali del lago.
Un gruppo di sottilissimi insetti di un fantastico blu cangiante, vedendola arrivare, si dispersero come schegge di colore.
- Ma prego, mie care libellule, non andate via, cra! Che il mio caro amico, qui, non abbia a pensare che noi sagge ranocchie non sappiamo controllare i nostri, hem, impulsi, cra… -
Le libellule restarono a fissarla sospettose, mantenendosi a debita distanza.
Arrivati all'altra sponda, il folletto saltò in mezzo all'erba umida e salutò la ranocchia. 
Dietro un albero di corniolo un grosso gatto dai profondi occhi gialli e dal folto pelo grigio si muoveva lento e circospetto, fissando una preda nascosta da qualche parte. Un gatto da quelle parti, per di più in mezzo all'erba bagnata... una cosa davvero insolita. Probabilmente si trattava di uno spirito del posto o di un essere umano ancora capace di trasformarsi in animale, come nei tempi antichi. Per un attimo si guardarono ed il felino sembrò accennare ad un saluto, chinando la testa, poi si allontanò, zampettando veloce.
Il temporale continuava monotono e tetro, quando ad un tratto una luce illuminò il cielo a giorno ed un botto sordo e fragoroso coprì ogni altro suono per alcuni secondi. Una lingua di fuoco abbatté un albero al suolo nello spazio di un secondo. Il cielo nero illuminato da fantasmagorie elettriche bianche su sfondo violaceo, come crepe nell’atmosfera. Arrivò la grandine, colpendo, scuotendo, svegliando cose, animali e persone. Anche lei si destò per l’eccitazione e annusò l’aria pungente, carica. Mentre il mondo degli uomini si rannicchiava nei propri letti, preparandosi un nido caldo e protetto dai venti freddi e grigi che arrivavano, lei uscì danzando al ritmo sfrenato dei chicchi che cadevano, la sua sagoma che si stagliava contro gli arabeschi celesti.
 - Svegliatevi! - gridava, bussando ad ogni tana.
- L’autunno è arrivato! E’ il momento della festa! -
 Gli animali fecero capolino. Le lumache e i lombrichi furono i primi ad uscire, poi arrivarono gli scoiattoli che annusarono i frutti dell’ippocastano, i ricci ghiotti di bacche e funghi e tutti gli altri animali. C’era molto da fare per preparare la Festa d’Autunno, bisognava raccogliere le mele, le nocciole e le bacche e poi zucche e funghi per preparare biscotti, frittelle, torte, sformati ed altre leccornie. Gli gnomi del bosco avrebbero intagliato le zucche e le avrebbero usate come lanterne, riempiendole di lucciole. Bisognava organizzare le danze ed i cori delle fate, preparare i falò e raccogliere fiori e foglie per decorare le case degli gnomi e le tane degli animali. 
Ora l'acqua non cade più ed il cielo si è rasserenato. L'aria è pungente, il sorgere del sole segna il nascere di un nuovo giorno e del tumulto notturno non vi è più traccia.
 Il sole di fine Settembre ha asciugato la terra e con la sua morbida luce fa splendere le foglie degli aceri con gloriose pennellate di oro e rosso. I folletti giocano nelle vigne, rubando succosi acini maturi e facendo scherzi ai contadini che vendemmiano e dimenticano di lasciare qualche grappolo per loro. Lei corre nei campi sterminati, sotto un cielo di un abbagliante blu, inseguendo le nuvole pellegrine. Corre libera e felice. 
Ad un tratto si ferma, qualcosa nell’aria. Arriccia le narici e fiuta con attenzione, tendendo l’orecchio. Spalanca gli occhi e batte le mani con eccitazione - Stanno arrivando! - grida. - Il Re e la Regina d’Autunno! Presto saranno qui per essere incoronati alla festa! -

 

<em>Camminiamo tenendoci per mano sulla soglia del crepuscolo.
La porta fra i due mondi è aperta e l’infinito si apre davanti a noi sotto nubi apocalittiche squarciate d’oro. Fantasmagoriche fasce d’oro sul cielo color piombo.
Tutto sulla terra è coperto d’oro. 
Creature magiche hanno dormito a riparo del giorno piatto ed ottuso e si apprestano ad uscire. 
Camminiamo fra le ombre e la luce. Mobili arabeschi di luce e ombra trasfigurano i nostri volti, la nostra pelle, disfacendo i lineamenti, rendendo le forme mutevoli e vive. Camminiamo lungo i binari della ferrovia seguendo il vento che ci porta ed agita i bassi cespugli e l’erba nei campi e gli alti alberi ai nostri lati.
Stormire di fronde e foglie, pennacchi di fior di pisello rosa e bocche di leone viola e tappeti di campanule bianche, evanescenti soffioni, traslucenti nel crepuscolo, che riempiono l’aria di sottili pollini danzanti come fate. Camminiamo tra le luci e le ombre della tarda estate, sotto il cielo plumbeo per la pioggia imminente. La notte incombe.
 Ci lasciamo cadere nell’erba color ombra, fra il bianco delle campanule che spicca vibrante, e mi adorni i capelli con corone di fiori che hai intrecciato per me.
Il bianco delle campanule, il rosa dei fiori di rovo, le bacche delle more. Intrecci corone di spine e fiori e frutti che si impigliano tra i miei capelli e ridiamo adoranti.  Gocce di sangue stillano dalla punta delle tue dita e colorano i miei capelli, il mio viso e le campanule. Danziamo nella fantasmagoria dei fiori rosa e bianchi e dei soffioni traslucenti e volanti, illuminati dalla luce d’oro contro un cielo di apocalisse. Siamo viandanti, pellegrini tra i mondi, e andiamo verso il bosco.</em>

 

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