Scritto da © shadow58am - Sab, 06/04/2019 - 10:41
Quanti giochi conosci? Scegline uno, riassumimi le regole velocemente e giochiamo.
Dunque, pensavi di essere bravo davvero? Ti ho legnato con estrema disinvoltura. Ti confido che mentre ti battevo stavo già pensando al prossimo giocatore da sfidare per sconfiggerlo.
Ho bisogno di giocatori all’altezza, sono stanco di vincere facile ai loro giochi.
Mi sono stancato di vincere così, ma la questione è che non riesco a perdere nemmeno quando mi ci metto d’impegno.
La vocina mi ripete: “Eddai perdine almeno una.” E poi: “Se riesci a perdere sarebbe una vittoria. Lo sfidante penserebbe di aver vinto, tu lasciaglielo credere, lascia che meni in giro vanto; in cuor tuo sai che sarebbe una delle tue più grandi vittorie, non credi?”
Le rispondo: “Non puoi immaginare quante volte ci abbia provato, sarebbe il mio capolavoro. Poi, durante lo svolgimento, si presentano combinazioni che non riesco a non scorgere. E quando mi si presentano, un automatismo, che non riesco a disattivare, inizia ad elaborare movimenti; addirittura programma di tirare in lungo la partita, mantenendo la concentrazione sulla mossa errata che ha azzardato e che lo farà inesorabilmente perdere.”
“Sai cosa dovrei fare? Smetterla di cedere alla tentazione di vincere. Smetterla di scegliere l’antagonista. Dovrei incrociare qualcuno che mi sfidi spontaneamente, un contendente che non sa nulla di me, ma che conosce le regole del gioco e che cerca come me la sconfitta. Questo sì che sarebbe un bel Gioco. Una partita per cui sarei disposto anche a perdere.”
E’ un talento innato. Lo sai da sempre di essere un Maestro, ma per onestà intellettuale (sai di essere troppo forte) ti sottrai al combattimento (che altro è la partecipazione ad un gioco?) per gran parte della tua vita. Poi diventano troppe le provocazioni e cominci a mietere vittorie, un rosario di successi inarrestabile, cerchi pure di evitare l’umiliazione al perdente, sempre che comprenda che ha a che fare col Magister, sempre che non rilanci, che farsi male in questo gioco è un attimo.
Il Gioco può partire dalle carte, dai dadi, dagli scacchi… da chi riesce a trattenere più a lungo il respiro… da dove ti pare invero. Chi non capisce che le carte, i dadi, gli scacchi, il respiro più lungo non c’entrano nulla col gioco, ha già perso. Si tratterrà solo di sapere in quanto tempo, opzione indisponibile al predestinato perdente, scelta del Maestro che dipenderà solo da quanto si vorrà divertire, tenendo conto della noia da cui sarà assalito sin dalla prima mossa.
Il Gioco si fonda su una serie di concatenazioni che hanno lo scopo di suscitare scenari. Tutto è permesso: truccare le carte, barare, attaccare (farlo credere), arretrare (farlo credere), manipolare, mentire alterando la realtà, fingere stanchezza, dichiararsi sconfitti e ritirarsi dal gioco... perfino, ma solo in estrema difficoltà, dire la verità.
Dire la verità è l’arma più potente - è per questo cha va usata con estrema moderazione e solo quando si sta perdendo la partita - disarma l’avversario, lo manda nel pallone, inizia a farsi domande inevase, abbozza contromosse, lo vedi barcollare, potrebbe commuoversi, piangere perfino… ecco adesso è il momento di abbatterlo. E chiudere il Gioco.
Il Gioco si nutre di sguardi, di ammiccamenti, smorfie, giochi di ciglia, potresti azzardare una carezza gentile, le dita fra i capelli perfino… uso e abuso del linguaggio gestuale. Alcuni movimenti dovranno essere rapidi, seguiti da altri in accelerazione: lo devi obbligare a rincorrerti. Poi di colpo: fermo. Poi sparire, sospendere la partita. La partita non ha un tempo definito, dura quanto necessario. Quelle che durano più di una vita sono le più avvincenti, a riconoscerle però.
Infine l’ho trovata la sfidante giusta. E’ stata lei a scegliermi, mettiamola così che spiegare come sono andate le cose è un’altra matassa difficile da districare. La conoscevo da tempo, quasi da sempre, forse prima. Era la mia sparring partner ufficiale. Le ho insegnato, senza indicarglieli, tutti i trucchi del Magister, ma lei pareva non interessarsi al gioco, distratta, cocciuta, lenta nell’apprendimento, ribelle, reazionaria: “Non mi piace giocare a questo gioco. Preferisco essere diretta, se mi va di mandarti a quel paese lo faccio senza tanti giri, se mi va di amarti ancora più facile. Scegliti un’altra con cui allenarti ai tuoi giochini del cazzo.”
Troppo facile con lei, non mi dava soddisfazione. L’ho ascoltata, era una mossa che pensavo servisse a farla innamorare del Gioco. L’ho lasciata come sparring partner. Si è rivelato un grande errore, ora lo so.
L’ho sottovalutata, data per scontata. D’improvviso, dalla notte al giorno, l’ho vista lanciarmi la sfida. Ho provato un brivido, non me la aspettavo, non da lei cribbio, forse la prima volta che accadeva. Mi sono detto che non avevo nessun motivo di evitare la partita, mi sarei divertito come al solito, eppure il brivido persisteva. Suvvia la mia conoscenza del Gioco era troppo elevata, in fondo ero il Magister Ludi e lei solo un’allieva indisciplinata, l’avrei battuta con estrema facilità, con un sorriso.
D’improvviso, dalla notte al giorno, l’ho vista lanciarmi la sfida:
“Emozione, passione, intensità… sofferenza, gioia, tormento… sei pronto?”
Le risposi, occhi fissi negli occhi, con un ghigno: “Sono la mia specializzazione, lo sai bene.”
Mi rispose, occhi fissi negli occhi, bocca sorridente, con: “Questa volta non mi lascerò massacrare da te. Tremi. Pessimo modo di iniziare una partita, lo sai bene. Il match è mentale, scendo sul tuo campo, come vedi, lo faccio per sconfiggerti una volta per tutte. Mi sono ripromessa di non avere pietà, nessuna clemenza è prevista. Non voglio prigionieri.”
Potrei davvero perderlo questo gioco. Avrei l’agognata sconfitta, quella che non vedevo l’ora arrivasse e senza retrogusto di vittoria per avere regalato il successo alla provocatrice risvegliata, che ho come sentore che possa meritarsela tutta, ma non glielo dirò mai. Non è più un passatempo o una distrazione. Non è più un allenamento. Si fa sul serio, questo è il Gioco.
C’è un problema: questa è proprio la Partita che non voglio perdere.
Al massimo potrei accontentarmi di un pareggio… potrei puntare tutto sul raggiungimento degli equilibri… potrei farle credere l’incredibile… potrei trattare e indirizzarla a pareggiare… potrebbe cascarci… potrei dirle la verità perfino… potrei…
Ma potrebbe anche lei… è diventata brava, conosce le regole e sa come romperle… impara ad una velocità immediata… potrebbe portarmi sull’orlo della pazzia o farmi credere di finirci lei… potrebbe costringermi a concentrarmi troppo sulle sue mosse… e lo sta già facendo se sono qui ad elaborare strategie perdendo la naturalezza del colpo che so di avere… potrebbe dirmi perfino la verità… potrebbe…
E’ uno di quei giochi che sai di perdere (lo aspettavi da sempre e ora non puoi sottrarti, avresti già perso) ma che decidi di giocare lo stesso. Così, tanto per restare allenato. Così, tanto per assaporare, finalmente, il gusto delle sconfitta.
In ogni caso dichiaro, convinto e consapevole, di puntare al pareggio, per me sarebbe già una… vittoria.
* solo una riflessione sul "Gioco delle perle di vetro" di H. Hesse
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