Scritto da © Bruno Magnolfi - Mer, 13/02/2019 - 21:22
Certe notti sembrano più lunghe delle altre. Tengo spenti i fari della mia macchina, e sonnecchio per quasi dieci minuti mentre sto di fronte alla distesa asfaltata del parcheggio vuoto che devo sorvegliare. Mi vengono in mente i pensieri più strani in queste occasioni: ho la pistola carica nel vano del cruscotto, mi sento il padrone incontrastato di questo posto; se si avvicina qualcuno posso persino fargli cenno di andarsene rapidamente, perché non ci voglio proprio nessuno da queste parti. Non voglio nessuno a darsi appuntamento proprio qui, per progettare chissà quali attentati, chissà quali nefandezze ai danni di cose o persone che magari non ne sanno niente di queste guerre intestine lungo le vie principali del malaffare e del crimine terroristico.
Perché di questo si tratta, almeno credo: sono pagato per contrastare i piccoli gruppi di invasati che pensano di poter innescare dei moti rivoluzionari all’insaputa di tutti gli altri. Per questo vengo mandato qui ogni notte, ad osservare tutti i movimenti sospetti che ci possono essere intorno al grande stadio cittadino del calcio. Perché ci può essere sempre qualcuno che odia cose come lo sport o il gioco del pallone, e vorrebbe far partire proprio da qui chissà quali attentati dimostrativi ai danni di tutti quanti noi. Ed io scruto le tenebre, dentro la mia macchina grigia che non si fa neanche notare, a fari spenti, con la mia coperta per il freddo sulle gambe, il binocolo sempre pronto per vedere bene i movimenti di tutti; osservo la realtà, quella più vera, più cruda, più evidente, e poi se è il caso invio subito la mia segnalazione.
Il freddo però si fa sentire in queste notti, e mi riporta velocemente alla realtà del mio starmene qui senza fare quasi niente. Accendo il motore, lo lascio girare per un po’, quindi torno ad azionare la ventola del riscaldamento. C'è una coppietta dentro una macchina, si sono fermati piuttosto lontani da me, all'imbocco del parcheggio, ma posso tollerare la loro presenza penso, in fondo non fanno del male proprio a nessuno. Però i miei capi hanno spiegato bene come non si debba mai perdere di vista nessuno in questa larga spianata, perché una debolezza del genere potrebbe essere quella fatale, quella che apre le porte a chissà quali conseguenze.
Perciò ingrano la marcia, mi avvicino lentamente alla coppietta, inforco gli occhiali scuri per non farmi riconoscere, e tenendo una potente lampada portatile diritta su di loro, dico senza mezzi termini che adesso devono togliere le tende. Passa una attimo, quelli parlano subito tra loro, e quindi se ne vanno, i loro interessi sono scemati in fretta penso, non ho avuto bisogno di aggiungere nient’altro. Sono contento, la mia autorità è riconosciuta in casi come questo.
Poi vado a compiere un largo giro del parcheggio, controllo per bene ogni angolo nascosto, ma non c’è niente di insolito in questo momento, posso rimettermi fermo da qualche parte, con la radio a volume molto basso, e la mia coperta per ripararmi da questo freddo cane. Con gli sportelli chiusi da dentro posso persino sonnecchiare: in fondo ho sempre la pistola con me, ci vuole un attimo a difendermi nel caso che a qualcuno venisse in mente di rompermi le scatole. Questo è il mio parcheggio penso, ed è anche il mio posto di lavoro: non potrò mai essere un pericolo per voi se ve ne girate al largo da questa zona. La notte scorre lenta, sembra non voglia mai succedere un bel niente. E forse è meglio così, per tutti quanti.
Bruno Magnolfi
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