Scritto da © max pagani - Ven, 16/07/2010 - 13:38
Lui è ITALO, l’Alieno.
Da rimanerne stupiti, non c’è che dire, stupiti ed un poco imbarazzati, con un sorriso tenuto a stento e un ribrezzo sicuramente malcelato.
Dopo decenni di racconti di fantascienza, dopo gli sforzi profusi da autori di livello (Clarke, Asimov, Brown e Matheson mi arrivano in testa veloci come stessero ad un warm up), sforzi atti a trovare nomi proponibili e difendibili per ominidi di razza aliena (ho ricordi tipo Giig Zaa, figlio di Ghaesh, che fu nemico giurato di Pivok Zabag, figlio di Kes'Xikh, oppure Phaw'Ven Fav'Reg, uccise Tacel, combattè al fianco di Choos Zoph e di Yaxxec…), mi presentarono finalmente il primo vero alieno, ritrovato ovviamente, come nell’immaginario collettivo di tutti, nel classico deserto dell’Arizona.
Mi presentarono ITALO.
Lo trovarono a bordo di nulla. Non si sapeva se si fosse materializzato e in che modo, o se fosse stato trasportato, scaricato, abbandonato li, nel sud dell'Arizona, all'Organ Pipe National Monument, il regno del deserto più arido e dei grandi cactus.
Era vicino ad una specie di Saguaro, un cactus che sembrava una vera e propria opera d'arte, costruito a "canne d'organo". Piccolino, ma molto pittoresco.
Quando lo prelevarono, mi dissero, sembrava intento a stringere la mano e fare conoscenza con il nostro rappresentante vegetale. Non potei fare a meno di pensare a Spike, il fratello di Snoopy.
Non riuscivo a capacitarmi, ancor più del fatto di trovarmi realmente davanti un essere alieno (ed alieno era un complimento), non mi capacitavo del nome. Mi dissero che la sequenza delle vibrazioni emesse dalle carni molle, interpolata con i delta di temperatura corporea ( il tutto decodificato dai complicati sistemi informatici), alla domanda “come ti chiami” dava come risultato ITALO.
ITALO. Ok, sorridevo e me lo facevo stare bene.
Che i sistemi informatici fossero complicati ed all’avanguardia, lo sapevo benissimo. Da anni ero nel segretissimo team di tecnici informatici, facente parte una segretissima agenzia governativa (…). Della sua esistenza se ne parlava anche negli asili nido. Agenzia che comunque non cito qui per correttezza.
Era nata e finanziata per il monitoraggio, lo studio, la pianificazione e gestione i quelli che a breve, sarebbero stati contatti ravvicinati del terzo tipo. Da anni, segretamente, si decifravano segnali provenienti da posti che puoi vedere solo con il naso all’insù.
Avevo finalmente davanti un contatto del terzo tipo, ITALO.
Pensavo fosse meglio, in tutta sincerità. Era un alieno che pareva fatto di catarro. E non del migliore dei catarri. Era un alieno che non faceva paura. Era un alieno che mi faceva decisamente cagare sotto.
Oltre a pensare al fatto che poteva essere esteticamente meglio, pensavo intensamente ed incessantemente anche a… “”Cazzo perché proprio a me lo fanno conoscere?? Cosa vogliono? Cosa hanno in mente?””. Ero un tecnico informatico (molto ma molto intelligente, si…) ero a capo di un team affiatato, ero ovviamente a conoscenza di molto di ciò che si faceva li sotto terra, di molto si, ma non di tutto. Non capivo.
‑
Me lo presentarono, e mi dissero di salutarlo alla terrestre, di dargli e stringergli la mano. Raggelai e mi irrigidii al solo pensiero.
Si irrigidì anche Lui. Trattenni a stento un brivido ed un ovvio conato di vomito e allungai la mano. Allungò anche la sua. Al contatto non riuscii più a trattenere i brividi.
Fu semplicemente ... fantastico. Arrivarono ondate di piacere non descrivibile, un piacere dato dalla capacità di capire, di condividere, di essere coinvolti e complici. Un piacere che non mi fece pensare alla consistenza del catarro.
Durò una decina di secondi, non di più, anche troppi per una stretta di mano. Quando lo lasciai (quando LUI lasciò la mia mano) non potei fare a meno di passarmela sui jeans, era umida e collosa. Capiamoci, era come se qualcuno mi ci avesse starnutito sopra, sfilando all’ultimo il fazzoletto. Mi sorrise.
ITALO morì dopo due minuti dalla stretta di mano.
Io, due giorni dopo scorsi di nascosto che il cactus di cui parlavo, era stato trasportato all’interno della nostra struttura e studiata attentamente la sua specie di esplosione interna e successivo collasso strutturale. Lo studiavano segretamente si, e sicuramente di nascosto da me.
Cominciai a sentire dolori fortissimi dopo solo due settimane. Mi sovviene solo ora ricordare, che chi scrive (ancora riesco a scrivere) e’ una donna di 36 anni, una volta piacevole, ora solo semplice contenitore di almeno 100 piccoli ITALI.
Due cose mi tornano a mente. Anzi tre.
La prima, è l’immagine del povero cactus che non aveva retto alla devastante necessità di Italo di riprodursi.
La seconda, e' che mi dissero tutti agli inizi, di non fidarsi mai di segrete agenzie governative.
La terza, e ancora sorrido, e’ che ho capito che non avevo stretto propriamente una mano, a ITALO.
Ho riso del suo nome
ed ora,
ora muoio del suo seme.
FINE
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