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zia Adelina

seduta al tavolino, mamma sbucciava le patate. Ogni tanto si fermava, guardava fuori, e poi riprendeva. Ci eravamo trasferiti da poco e questo era il primo natale senza nonna. Papà litigava al telefono con un suo fornitore e noi due, io e Morgana, guardavamo la televisione. Fuori era alta la neve, eccetto il vialetto sul quale ogni tanto passava una macchina che andava in paese, senza tempo, senza voce, sbucciava le patate.
Non si vedevano da dieci anni, da quando cioè è nata Morgana. Io avevo poco più di tre anni e mamma dice che zia Adelina si coricava con me e mi raccontava fiabe che finivano per addormentarmi. Con tutto questo freddo, pensai, il lago ghiaccerà, le anatre si guarderanno spaventate e poi un sonno le inghiottirà, finiranno disegnate in un quaderno dalla fantasia di un bambino. Sistemò i ceppi nel camino e mise a bollire un pentolino d’acqua. Fissava il pentolino finché gli occhi non le diventarono rossi. Papà sedette sul divano accanto a Morgana e accavallò le gambe.
-Neanche stavolta verrà- disse, poi prese un giornale e inforcò gli occhiali per la lettura.
Fuori passò un’altra macchina, e poi ancora un’altra, mamma era lì alla finestra col la sua tazza tra le mani, sembrava l’ombra di un albero che qualcuno avesse alzato da terra, senza peso, un elemento del tempo svuotato d’ogni anello e senza congiunzioni, muto, sotto il ronzio d’uno stormo in ritirata.

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