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Libera

 Lei era una povera cosa stretta in un angolo. Il volto livido, il collo girato in una posizione innaturale, gli occhi spalancati. Era ancora facile scorgervi dentro il terrore e la richiesta di scusarla, scusarla per la sua inadeguatezza, per non essere stata come lui la voleva...
 
«Fabio, vuoi tu prendere in sposa la qui presente Maria....»
Il suo «sì», pronunciato guardandola negli occhi, era stato il suggello della loro favola. Si erano conosciuti nel paese di lui, dove lei trascorreva una breve vacanza, quando erano ancora prepuberi e si erano "messi insieme" subito. E mentre tutti i loro coetanei erano impegnati nel valzer delle coppie tipico dell'adolescenza, Maria e Fabio restavano insieme. "I fidanzatini", li chiamavano.
Prepararono il loro matrimonio con cura, volevano che fosse un giorno indimenticabile e che ci fosse una casetta pronta al ritorno dal viaggio di nozze. Niente di pretenzioso, ma una casa calda e accogliente, che sapesse ospitare un amore come il loro. Tutto avvenne come avevano previsto. Fino a che lui non la prese in braccio e, dopo aver varcato la soglia, non chiuse la porta.
 
«Maria, sono Giovanna. Ma come stai? È tanto tempo che non ti fai vedere!»
«Ah, ciao Giovanna. Sì, scusami. È che sono tanto impegnata con la casa. Sai, voglio che tutto sia perfetto.»
«Va tutto bene, allora?»
«Sì, sì. Tutto bene. Solo che ci sono tante cose che devo ancora imparare, sai. Tante cose...»
«Eh, sì. I primi tempi non è facile per nessuno... Succede a tutte noi, sai? Non ti preoccupare.»
 
I primi tempi passarono, e Giovanna, Carla, Claudia... smisero di chiamare. Solo sua madre continuava a telefonarle, chiedendole di andarla a trovare. Ma Maria, con una scusa o l'altra, non ci andava mai, né invitava mai nessuno a casa sua.
 
Fabio tornava a casa alle sei, dopo il lavoro. Lei gli andava ad aprire ben vestita, truccata e pettinata, come voleva lui. In casa c'era già l'odore della cena che aveva preparato. Tutto era in ordine, pulito. O almeno così pensava Maria. Ma c'era sempre qualcosa che non andava. Oppure diceva una frase sbagliata. O faceva una mossa sbagliata. E si scatenava l'inferno. «Perché mi costringi a farti questo, eh? Perché? Possibile che tu non sappia fare una cosa fatta bene?», diceva lui mentre la picchiava con forza. Lei piangeva e, sotto la gragnuola dei colpi, si scusava, si scusava, si scusava....
 
Quel giorno era stato un giorno buono. Lui le aveva persino portato un regalo, un mazzo di fiori. Poi lei, mettendoli nel vaso di cristallo, aveva inavvertitamente fatto cadere un po' d'acqua. Lui l'aveva guardata con quei suoi occhi tristi e feroci. «Ecco, vedi? Io ce la metto tutta, ma tu non fai niente per me, niente.» E aveva cominciato a colpirla. Lei si era rintanata in un angolo. Piangeva e si scusava, cosa che sembrava non far altro che rinfocolare la rabbia di Fabio. La prese per il collo e strinse, strinse, strinse.
 
E finalmente Maria fu libera. Libera da quell'inferno.
 
 

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