Scritto da © Hjeronimus - Gio, 02/02/2017 - 10:10
Il Polemos nel suo originario concepimento è una percezione della condizione umana come scontro, conflitto, collusione degli opposti. Sorta di teoria delle catastrofi d’epoca classica, esso non sarebbe che la quintessenza di tale umana condizione: la contraddizione è la molla del mondo, tutte le cose si contraddicono a vicenda, ne concluse Hegel circa 23 secoli più avanti. Quando Eraclito ne delineò un abbozzo, pensava semplicemente alla ineluttabile convergenza dei contrari, ove ogni cosa (e cioè, diremmo noi, ogni parola) è in quanto contrapposta al proprio contrario. Per esempio, nulla sarebbe bello se non conoscessimo ciò che è brutto. Concetto ancor più rastremato da Heidegger: ogni cosa è in quanto.
Se concediamo verità al polemos, dovremo concluderne che lo stato di guerra è inerente alla fondazione stessa dell’umano. Che uno dei pilastri dell’essenza dell’essere è la guerra. Tuttavia, qui presumiamo che così non è. La guerra non è uno dei pilastri dell’essere, bensì dell’esistere. È l’uomo spinto dentro l’esistenza che prima o poi s’imbarca nella guerra: la incontra, la auspica, ci finisce dentro. In tal senso il polemos è la negazione del logos: ottenebrato dai propri appetiti il sapiens si abbandona ai sensi, lasciandosi trainare in una rinuncia al discernimento che da una parte è rimozione di sé, della propria essenza, è dall’altra è demens.
Se ciò derivi dalla dialettica, ossia, se il conflitto è un ingrediente irriducibile anche della ragione, è opinabile. Ciò che è certo è che la ragione sarebbe comunque in grado di ridurlo alla ragione. E quindi di esercitare il suo arbitrio razionale e sedativo su qualsivoglia bagliore di scintille. Su qualsiasi scintilla d’odio o di rabbia canina emessa dal rogo furente del buon senso. Ma gli uomini preferiscono le tenebre e l’incenerimento del sapere, sia questo scritto o orale. L’unica luce cui son devoti, pare, è quella dell’incendio dei libri che, una volta spento, riduce il buio a condizione assoluta di quel semplice esistere pulsionale che istiga ad appiccarlo … Se si brucia la memoria, se si rinuncia alle facoltà proprie della luce d’essere, il sapere, il riflettere, il connettere, se si abbattono i Pantheon, le biblioteche, gli archivi della memoria e della ratio, siamo di nuovo all’eterno ritorno della stessa cosa, cioè alla pura bestialità. Dietro e oltre quel rogo c’è il buio, la tenebra abissale di un’altra preistoria.
I segni della guerra sono là, in questa oscillazione perniciosa tra il logos e il polemos, come in una folle roulette russa tra lo splendore e il nulla, tra un eventuale rinascimento e la morte. E l’ago punta viepiù sul conflitto e contro il buon senso, ove un lieve vacillare della tenuta delle intelligenze può generare l’irreparabile.
Se concediamo verità al polemos, dovremo concluderne che lo stato di guerra è inerente alla fondazione stessa dell’umano. Che uno dei pilastri dell’essenza dell’essere è la guerra. Tuttavia, qui presumiamo che così non è. La guerra non è uno dei pilastri dell’essere, bensì dell’esistere. È l’uomo spinto dentro l’esistenza che prima o poi s’imbarca nella guerra: la incontra, la auspica, ci finisce dentro. In tal senso il polemos è la negazione del logos: ottenebrato dai propri appetiti il sapiens si abbandona ai sensi, lasciandosi trainare in una rinuncia al discernimento che da una parte è rimozione di sé, della propria essenza, è dall’altra è demens.
Se ciò derivi dalla dialettica, ossia, se il conflitto è un ingrediente irriducibile anche della ragione, è opinabile. Ciò che è certo è che la ragione sarebbe comunque in grado di ridurlo alla ragione. E quindi di esercitare il suo arbitrio razionale e sedativo su qualsivoglia bagliore di scintille. Su qualsiasi scintilla d’odio o di rabbia canina emessa dal rogo furente del buon senso. Ma gli uomini preferiscono le tenebre e l’incenerimento del sapere, sia questo scritto o orale. L’unica luce cui son devoti, pare, è quella dell’incendio dei libri che, una volta spento, riduce il buio a condizione assoluta di quel semplice esistere pulsionale che istiga ad appiccarlo … Se si brucia la memoria, se si rinuncia alle facoltà proprie della luce d’essere, il sapere, il riflettere, il connettere, se si abbattono i Pantheon, le biblioteche, gli archivi della memoria e della ratio, siamo di nuovo all’eterno ritorno della stessa cosa, cioè alla pura bestialità. Dietro e oltre quel rogo c’è il buio, la tenebra abissale di un’altra preistoria.
I segni della guerra sono là, in questa oscillazione perniciosa tra il logos e il polemos, come in una folle roulette russa tra lo splendore e il nulla, tra un eventuale rinascimento e la morte. E l’ago punta viepiù sul conflitto e contro il buon senso, ove un lieve vacillare della tenuta delle intelligenze può generare l’irreparabile.
»
- Blog di Hjeronimus
- 1331 letture