Scritto da © Ezio Falcomer - Ven, 16/12/2016 - 08:25
<< La denuncia della follia diventa la forma generale della critica, ad esempio nel teatro: se la follia trascina ognuno in un accecamento senza scampo, il folle al contrario ricorda a ciascuno la sua verità, ossia “l’inganno dell’inganno”; egli dice, col suo linguaggio da grullo che non ha aspetto di ragione, la parole della ragione che sciolgono nel comico la commedia. La follia è così all’opera nel cuore stesso della ragione e della verità; essa è oggetto di discorsi, ne tiene su se stessa; viene accusata, si difende, sostiene di essere più vicina alla felicità e alla verità della ragione stessa (si ricordi l’opera di Erasmo, Bosch, Brueghel, e i temi intrecciati della Festa e della Dannazione dei Folli → questo dimostra quanto, a partire dal XV secolo, il volto della follia abbia ossessionato l’immaginazione dell’uomo occidentale). La Danza dei Morti, l’Elogio della Follia: la fine dell’uomo, la fine dei tempi perdono l’aspetto delle pesti e delle guerre. La derisione della follia prende il posto della morte e della sua serietà, come la contemplazione sprezzante di questo nulla che è l’esistenza stessa. L’annientamento della morte non è più niente perché era già tutto, perché la vita non è essa stessa che fatuità. La testa che sarà cranio è già vuota. La follia è l’anticipo della morte. In altre parole: quello che troviamo nel riso del folle è che egli ride in anticipo del riso della morte. È sempre in causa il nulla dell’esistenza, ma questo nulla non è più considerato come termine esterno e finale; è sentito invece dall’interno, come la forma continua e costante dell’esistenza. La saggezza consisterà nel denunciare dappertutto la follia, nell’insegnare agli uomini che essi ormai non sono niente di più che dei morti.>>
(Michel Foucault, "Storia della follia nell'età classica")
(fonte web: http://www.filosofico.net/foucaultrubetti.htm, 10-09-2016, h 08:15)