Scritto da © Ezio Falcomer - Lun, 12/12/2016 - 06:23
Giaccio sul pavimento col mio mocio e col moccio al naso. Ho una pelle di raso, di rado mi sento così bene, come si conviene a un cittadino di Fregene. Come un sorcio ho sestuplicato il mio intestino marcio di leccornie che nel frigo sono solo d'intralcio. Non scado così facilmente in volgarità da tifoso di calcio. Son schifiltoso quel tanto che basta per non menarmi il coso di fronte a tutti. Sono stati brutti quei tempi in cui, scatarroso e senza mai una gioia, vivevo d'intrigo, tra ilarità e allarmi da malmostoso. Giaccio sul pavimento da ore. Il mio cadavere emana un fetore così intenso che ne rimane implicato anche il dottore, luminare di poca foia, brufoloso che non si astiene dal riempire il tinello di ilarità dense di humour di ghiaccio. Delle sue cazzate ne ho fatto uno scartafaccio. E' un professionista costoso, sto dottore che mi riempie le vuote ore di una vita senza più cuore, tutta testa e cazzo. Mi faccio il mazzo a gettare queste righe così, per sollazzo, con fare astioso. Sono una gran testa di cazzo, lo ammetto; perfino Maometto mi manda a cagare, quando si scazza di passar la ramazza nel mio tinello. Mi dice: "A che ti serve, ormai, l'uccello? Fatti francescano e sii poverello". Ma io, nisba, proseguo come un razzo che non si astiene dal rompere il cazzo alla gente per bene.
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