Scritto da © Maria34 - Mar, 15/06/2010 - 17:14
Pensando al mio paese natale
dieci anni dopo
Io ero qui, quando questa terra era ostile e regalava solo poesia.
Troppo poco per vivere e troppo per la pace. Ora tutto è in fermento, tutto in costruzione. I volti noti non ci sono più o ne vedi pochi.
Gli altri, i nuovi arrivati, sono tanti e li vedi padroni dei tuoi sogni defraudati a te dalla vita che lenta, inesorabile, ti fa guardare avanti ma non ti permette di dimenticare.
Io amavo il mare, il suo fragore lontano nelle giornate di burrasca.
Alla sera uscivo sull’uscio di casa e nel buio della notte mi lesciavo rapire da quel rumoreggiare affascinante che proveniva da quella massa d’acqua in movimento.
L’Adriatico doveva agitarsi moltissimo se io a tre chilometri di distanza ne percepivo un suono cosi distinto.
In quelle notti, il cielo non era limpido e il mare si sostituiva alle stelle per regalarmi sensazioni stupende.
La battaglia della vita ora, è come quel mare in burrasca.
Qui il mare è lontano, il suo rumore non giunge fino al mio udito. Io in quella casa in mezzo agli ulivi, non ci tornerò più: è stata soffocata dalle nuove costruzioni.
Era una casa dove si era sempre in attesa di qualcuno che doveva arrivare.
Prima mia nonna che aspettava suo figlio, poi mia madre che aspettava noi. In questo aspettare c’era tutta la speranza e il desiderio del ritrovarsi che aiutava a vivere.
Spesso mi sono sentita come una emigrata in patria.
Si è sempre emigranti quando si va via (giovanissimi) da dove abbiamo imparato a conoscere al mattino, da quale parte sorge il sole e alla sera dove tramonta.
Si diventa senza più riferimenti.
Lontano da quei luoghi, non ho più saputo discernere dov’era l’alba e il tramonto in mezzo ai palazzi e al cemento.
Maria Mastrocola Dulbecco
1964
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