Scritto da © Fausto Raso - Gio, 24/11/2016 - 23:44
Scartabellando tra le nostre cose ci è capitato tra le mani un articolo scritto oltre venti anni fa. Lo proponiamo ai nostri amici lettori perché è ancora di una "attualità sconvolgente".
Dalle pagine culturali di "Repubblica" apprendiamo una notizia che potremmo definire "storica" e che attendevamo da tempo: l'Accademia della Crusca lancia un grido d'allarme sulla sciatteria grammaticale che inesorabilmente sta dilagando nella lingua italiana scritta. Sotto accusa libri e giornali dove frequenti sarebbero imprecisioni ed errori. Alleluia, alleluia. Non siamo piú soli, noi, umili linguai, nella battaglia che da anni combattiamo - da queste colonne - per ridare dignità alla lingua di Dante, un tempo "idioma gentil sonante e puro", per usare le parole di Vittorio Alfieri. Lingua ridotta, dai cosí detti operatori dell'informazione (soprattutto da quelli sfornati dalla scuola di oggi) a un'accozzaglia di parole errate maritate a un barbarismo inopportuno. Nella sua disamina il presidente della Crusca, il professor Giovanni Nencioni, fa l'esempio della "e" verbo scritta, il piú delle volte, con l'accento acuto in luogo di quello corretto che deve essere grave (è). «Non di rado - prosegue il prof. Nencioni - si fa confusione fra il "se" congiunzione e il "se" pronome personale, al punto che l'accento viene messo dove non va, oppure viceversa e talvolta non appare mai in ogni caso». Ne approfittiamo per ribadire - ancora una volta - che il "se" pronome deve essere sempre accentato, anche quando è seguito da "stesso" e "medesimo" (sé stesso, sé medesimo). La "legge" scolastica che stabilisce di non accentarlo è un arbitrio. Quanto alla doppia "b" in parole come "obbiettivo" o "obbiezione" - fa sempre notare il presidente dell'Accademia - non è un errore, ma è meglio con una sola "b" cosí i termini appaiono piú vicini alla radice etimologica latina. Non sappiamo se nella "denuncia" del prof. Nencioni siano compresi i barbarismi di cui sono infarciti, sempre di piú, gli articoli redatti dai cosí detti giornalisti che fanno la lingua, inducendo in errore i lettori sprovveduti. Amici della carta stampata, basta con l' "anglofilia"! Non è concepibile che per leggere un giornale italiano occorre aver frequentato i corsi dell'università di Cambridge. Adoperate la lingua madre e, possibilmente, in modo corretto. Tremiamo al pensiero che i giovani che si avvicinano per la prima volta al mondo della carta stampata possano leggere frasi del tipo «l'aereo è decollato alle 14,30», in cui sono evidenti due strafalcioni : uno "mortale", l'altro "veniale". L'errore mortale è l'uso dell'ausiliare essere con il verbo decollare, quello veniale è rappresentato dalla virgola che separa le ore dai minuti. "Fior di firme" giornalistiche ignorano completamente le norme grammaticali che regolano l'uso degli ausiliari con i verbi intransitivi che indicano un moto: l'aereo "ha" decollato, questa è la sola forma corretta. Quanto alle ore si devono adoperare i due punti (o un punto) per separarle dai minuti, non la virgola perché non si tratta di numeri decimali (14:30 oppure 14.30). Queste stesse firme scrivono "fidejussione" (con tanto di "j") ignorando che il termine proviene dal latino classico, che "conosce" solo la "i" normale: fideiussione. Che cosa fare, allora? La Crusca, per bocca del suo presidente, dice che «bisognerebbe che qualcuno avesse autorità di intervenire sugli autori e sulle tipografie in modo da utilizzare un sistema grammaticalmente omogeneo. Ma in Italia, a differenza della Francia, non esiste nessun organismo che regolamenti la lingua e cosí se ne subiscono le conseguenze negative che influiranno sul patrimonio linguistico». Ci consenta, prof. Nencioni, non è necessaria la nascita di un organismo, è sufficiente che la scuola sforni futuri giornalisti che conoscano la lingua, vale a dire che abbiano studiato - con la massima serietà - la grammatica e la sintassi. E i giovani usciti dalla scuola di oggi non sanno distinguere un avverbio da un aggettivo e confondono l'apostrofo con il troncamento. Quante volte leggiamo, infatti, "qual'è" con tanto di apostrofo o "un'elemento" sempre con tanto di apostrofo? C'è anche da dire, però, che lo "sfascio" della lingua non è da imputare tutto alle nuove leve dei giornali, anche se in queste alberga molta presunzione, ma agli stessi docenti che non sanno... insegnare la lingua perché essi stessi non la conoscono.
Fausto Raso
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