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L'eterno ritorno

Non ho fantasie mie proprie
non ne possiedo più.
 
Così trascrivo, per passaggio a tempo
e luoghi “ Bile (Splēn)”, del collega
 
C. Baudelaire. Commento: Baldo Bruno.
 
Con accidiazione a margine della sua
modernità, decifrate dal grande
Walter Benjamin, critico d'arte. E
Giorgio Agamben. I quali qui
non si trascrivono, in quanto
purtroppo veri pervertiti in quanto a lunghezza
di notazioni.
 
Spleen
Quand le ciel bas et lourd pèse comme un couvercle
Sur l'esprit gémissant en proie aux longs ennuis,
Et que de l'horizon embrassant tout le cercle
II nous verse un jour noir plus triste que les nuits;
Quand la terre est changée en un cachot humide,
Où l'Espérance, comme une chauve-souris,
S'en va battant les murs de son aile timide
Et se cognant la tête à des plafonds pourris;
Quand la pluie étalant ses immenses traînées
D'une vaste prison imite les barreaux,
Et qu'un peuple muet d'infâmes araignées
Vient tendre ses filets au fond de nos cerveaux,
Des cloches tout à coup sautent avec furie
Et lancent vers le ciel un affreux hurlement,
Ainsi que des esprits errants et sans patrie
Qui se mettent à geindre opiniâtrement.
— Et de longs corbillards, sans tambours ni musique,
Défilent lentement dans mon âme; l'Espoir,
Vaincu, pleure, et l'Angoisse atroce, despotique,
Sur mon crâne incliné plante son drapeau noir.
— Charles Baudelaire
 
 
Bile
 Quando, come un coperchio, il cielo pesa greve
      Sull'anima gemente in preda a lunghi affanni,
      E in un unico cerchio stringendo l'orizzonte
      Riversa un giorno nero più triste delle notti;

5    Quando la terra cambia in un'umida cella,
      Entro cui la Speranza va, come un pipistrello,
      Sbattendo la sua timida ala contro i muri
      E picchiando la testa sul fradicio soffitto;

      Quando la pioggia stende le sue immense strisce
10  Imitando le sbarre di una vasta prigione,
      E, muto e ripugnante, un popolo di ragni
      Tende le proprie reti dentro i nostri cervelli;

      Delle campane a un tratto esplodono con furia
      Lanciando verso il cielo un urlo spaventoso,
15  Che fa pensare a spiriti erranti e senza patria
      Che si mettano a gemere in maniera ostinata.

      - E lunghi funerali, senza tamburi o musica,
      Sfilano lentamente nel cuore; la Speranza,
      Vinta, piange, e l'Angoscia, dispotica ed atroce,
      Infilza sul mio cranio la sua bandiera nera..

Analisi

 

La lirica che ci apprestiamo a commentare, è tratta dalla raccolta i Fiori del male intitolata spleen e scritta da Charles Baudelaire. La poesia è composta da 5 strofe di quattro versi ciascuna (quartine). I versi sono alessandrini (verso classico della letteratura francese).
SPLEEN

"Spleen" è una parola inglese che inizialmente significava "milza", quindi "bile"; successivamente il termine assunse il significato di "malinconia", "disgusto". Già dal semplice titolo si intuisce qual è il tema principale della poesia, espressione, appunto, di un malessere esistenziale, di una incapacità di reagire alla noia devastatrice.

Struttura:

 Tutta la poesia si articola in due sole proposizioni (o "frasi"). La prima frase si sviluppa lungo le prime quattro strofe, ed è composta da tre proposizioni subordinate (strofe 1, 2 e 3) più una proposizione principale. Le subordinate sono molto simili tra loro: tutte cominciano con lo stesso avverbio di tempo (Quando...) e si sviluppano attraverso vivide metafore (il coperchio, il pipistrello, la prigione). Questa somiglianza, la ripetitività di una stessa struttura, insieme al fatto che le subordinate sono poste tutte e tre prima della proposizione principale (strofa 4), crea un clima di attesa, una certa suspense per quanto riguarda il seguito del discorso. Questa "attesa" ha un nome ben preciso nel gergo letterario : si tratta di un climax, per cui la disposizione in modo ascendente di certi elementi sintattici crea un "clima" di tensione, di aspettativa. La tensione accumulata lungo le tre prime strofe, volutamente pesanti in struttura e contenuti, esplode nella quarta strofa, nella proposizione principale. L'ultima strofa, che è anche l'ultima frase della poesia, nonostante abbia una propria indipendenza sintattica (ed anche visiva: c'è uno spazio bianco tra le varie strofe), è legata alle altre dall'uso del segno tipografico " - " e dalla congiunzione con la quale comincia ( - E... ). Essa rappresenta una conseguenza delle strofe precedenti, una specie di "rilassamento" finale dopo l'esplosione del climax.

Si raggiunge in questa lirica la massima angoscia in Baudelaire, segnalata dal modo in cui è scritta, molto forte, molto espressivo, con la cupa disperazione dei temi, in sintonia con il “sublime fosco “ dello stile. Forte il significato della lirica che porta avanti la perdita di dignità da parte dell’individuo, segnata con figure cupe angosciose , quali i ragni nel cervello, le campane che balzano e gemono, e soprattutto il cranio inclinato dell’uomo vinto dalla paura segno di timorosa ma decisa rassegnazione rispetto a qualcosa che non teme confronti. Il tutto creato con forme tragicamente elevate e nel contempo cariche di atroce concretezza nel senso che sono cose confrontabili nella realtà per ognuno di noi. Insomma lo spleen è quel senso di angoscia che sovente coglie anche noi creandoci quel senso di timore di paura, che non può essere superata perché si ha paura di affrontarla . Chiniamo quindi il capo è aspettiamo che la paura ci ricopra completamente.
Non possiamo non notare l’anafora  presente all’inizio delle prime tre strofe, quasi a voler evidenziare il verificarsi dello spleen a cui non è possibile sfuggire.  Baudelaire insomma, tende a mettere delle condizioni per cui si verifica lo spleen : mette infatti come prima condizione il momento in cui il cielo è nuvoloso e anche noi sentiamo un senso di pesantezza di timore  verso ciò che è nettamente predominante e incontrollabile. Noi sentiamo particolarmente questa situazione, e il nostro animo si colora di nero, più nero della notte, e la terra si muta in una cella umida, quando cioè gli schizzi di pioggia, ci danno la sensazione di sbarre che ci opprimono , e dove la speranza, l’unica cosa che potrebbe sorreggerci, va a rompersi sui muri e ci rende ancora più angosciati e timorosi. E quando la nostra mente si svuota del tutto dinanzi alla paura, in questo momento, le campane emanano un urlo atroce quasi come degli spiriti erranti che generalmente vediamo nei film di fantascienza o di orrore, senza patria che si mettono a gemere ostinati. Queste situazioni portano l’animo umano ad un lungo funerale, in cui la speranza lascia posto all’angoscia.
Efficaci quindi la serie impressionante di metafore di cui Baudelaire fa uso,  importante risulta l’anafora quando che crea una sensazione temporale di aspettativa angosciosa,  importante risulta il potente movimento sintattico e ritmico, come il lessico classicheggiante in disarmonia con quello comune ma in sintonia con il sublime fosco dello stile.
Ci troviamo quindi per concludere, al culmine dell’angoscia targata Baudelaire, in cui si nota come l’uomo sia impotente rispetto alla paura e soprattutto all’angoscia che sale.

 
Nota interpretativa estensiva di Gabriele Menghi
Il tema dell'angoscia di Baudelaire, che lo accompagna per la vita e che ne pervade tutta la poetica, è  quello filosoficamente concreto, realisticamente stringente, che accompagna tutti gli uomini di buon senso. Ed è racchiuso nel concetto di eterno ritorno, fin dalla sua origine interpretativa di datazione stoica.
Deve considerarsi, pertanto, che il Baudelaire vuole rappresentare, nella propria poetica,
non tanto un atteggiamento personale o personalistico, bensì una visione storicistica della vita di tutti gli uomini in generale: una vita cadenzata dai corsi e ricorsi storici, davanti ai qual, sia il singolo che l'intera umanità rimangono impotenti.
Il Concetto, già del movimento degli Stoici, è ripreso da tutta la filosofia nietzschiana ed è il seguente:
In: La Gaia Scienza
F, Nietzsche
« Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione - e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!"
 
 
 

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