Scritto da © Ezio Falcomer - Lun, 10/10/2016 - 07:30
<< “Ogni volta che respiriamo, allontaniamo la morte che ci assale […]. Ma bisogna infine che la morte trionfi, poiché siamo divenuti sua preda per il solo fatto di essere nati; la morte si permette un momento di giocare con la sua preda, ma non aspetta che l’ora di divorarla. Rimaniamo tuttavia affezionati alla vita e spendiamo ogni cura per prolungarla quanto possiamo; proprio come chi si sforza di gonfiare quanto più e quanto più a lungo è possibile una bolla di sapone, pur sapendola destinata a scoppiare”.
Julius conosceva bene le prediche sulla vita e sulla morte, come le conosce ogni uomo. Concordava con gli stoici quando affermavano che “appena veniamo al mondo, cominciamo a morire”, e con Epicuro che argomentava dicendo: “Quando ci siamo noi non c’è la morte, quando c’è la morte noi non siamo più”, quindi perché temere la morte? In quanto medico e in quanto psichiatra aveva mormorato queste stesse frasi consolatorie all’orecchio dei moribondi.
Pur ritenendo che queste tetre riflessioni potessero essere utili ai suoi pazienti, non aveva mai pensato che avrebbero avuto qualcosa a che fare con lui. Questo fino a un terribile istante di quattro settimane prima, che aveva mutato per sempre la sua vita. >>
Julius conosceva bene le prediche sulla vita e sulla morte, come le conosce ogni uomo. Concordava con gli stoici quando affermavano che “appena veniamo al mondo, cominciamo a morire”, e con Epicuro che argomentava dicendo: “Quando ci siamo noi non c’è la morte, quando c’è la morte noi non siamo più”, quindi perché temere la morte? In quanto medico e in quanto psichiatra aveva mormorato queste stesse frasi consolatorie all’orecchio dei moribondi.
Pur ritenendo che queste tetre riflessioni potessero essere utili ai suoi pazienti, non aveva mai pensato che avrebbero avuto qualcosa a che fare con lui. Questo fino a un terribile istante di quattro settimane prima, che aveva mutato per sempre la sua vita. >>
(Irvin Yalom, “La cura Schopenhauer”, traduzione di Serena Prina, Vicenza, Neri Pozza, 2012)