Scritto da © Marco valdo - Sab, 03/09/2016 - 09:51
Come una sincope della memoria il pensiero si sbiadisce, rende tutto soffuso, lei che si cercava, adesso trova solo le mani che frugano il corpo, rallenta, torna indietro, cerca l'anomalia. L'aveva già percorso quel ricordo, era sempre venuta a un risultato e ancora tra i fremiti era chiara l'immagine, aveva vinto la vergogna della sua decenza per approdare a quel ricordo, per accedere al suo corpo.
La prima volta era stato uno schiaffo violento, elettrico, segnava la parola maldetta i limiti della decenza, quella prima volta voleva togliersi di dosso tutto il peso, si offendeva con tutto quello che aveva a disposizione, ordinava alle mani in terza persona, lo stesso ordine due, tre volte, aggiungendo aggettivi, le mani seguivano la violenza dell'intenzione, il pensiero era luminoso di neon, l'immagine mostrava lo spessore delle vene.
Le volte successive furono la ricerca di quella prima impressione, il pensiero era ancora nitido, ma sempre meno brillante, l'approdo gli lasciava sempre un po' più di fiato, ma ancora questo era comunque un arrivo, un traguardo, ancora si scrollava di dosso il peso di qualche vergogna che voleva ragione.
L'ultima volta fu l'inizio, cercava ancora di fare riaffiorare l'immagine e non badava alle sue mani che si muovevano lente, di una lentezza senza tempo “dilatare” “elastico” il pensiero è un susseguirsi di fotografie, l'intenzione ha adesso tutto il tempo che chiede, è ancora sconcio il desiderio, per via dei sussurri che si dice all'orecchio, ma come un gioco di amiche libertine, che non devono più superare vergogne, dura un infinito la ricerca dell'approdo e anche quando intravisto, rimandato, fino al giungere.
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