Scritto da © Ezio Falcomer - Sab, 03/09/2016 - 00:56
<< I problemi umani nascono dal desiderio, ma non tutti i desideri danno origine a problemi. Ci sono due tipi di desideri: le richieste ("devo averlo") e le preferenze. Le preferenze sono innocue, possiamo averne quante vogliamo. Il problema è il desiderio che esige di essere soddisfatto. È come se ci sentissimo perennemente assetati e, per estinguere la sete, volessimo attaccare un tubo al rubinetto della vita. Continuiamo a credere che, attaccandoci a questo o a quel rubinetto, otterremo l'acqua di cui abbiamo bisogno. Parlando con i miei studenti, mi sembrano tutti assetati di qualcosa. Possiamo procurarci un po' d'acqua qua e là, ma non fa che stuzzicarci. Essere assetati non è per niente divertente.
Quali sono i rubinetti a cui tentiamo di attaccarci per estinguere la sete? Uno potrebbe essere un lavoro che ci sembra quello adatto a noi. Un altro, il 'partner giusto' o un figlio 'che si comporta come si deve'. Correggere un rapporto personale può sembrarci il modo per arrivare all'acqua. Molti credono che estingueremo la sete solo quando avremo corretto noi stessi. Non è possibile per l'io mettere a posto l'io, ma tentiamo lo stesso. Ciò che consideriamo noi stessi non ci sembra mai pienamente accettabile. "Non faccio abbastanza", "Non ho il successo che merito", "Sono sempre arrabbiato, quindi non valgo niente", . "Sono uno studente incapace". Esigiamo un'infinità di cose da noi stessi e dal mondo. Quasi tutto ci sembra desiderabile, un rubinetto a cui attaccarci per ottenere finalmente l'acqua di cui crediamo di aver bisogno. Le librerie rigurgitano di libri fai-da-te che sbandierano rimedi vari per la nostra sete: Fate innamorare di voi vostro marito, Come costruire l'autostima, e così via. Sia che sembriamo o che non sembriamo sicuri di noi, sotto sotto abbiamo la sensazione che ci manchi qualcosa. Sentiamo di dover mettere a posto la nostra vita, di dover spegnere la nostra sete. Dobbiamo fare quel collegamento, infilare il tubo nel rubinetto e bere quell'acqua.
Il problema è che niente funziona davvero. Cominciamo a scoprire che la promessa che continuiamo a fare a noi stessi (che in qualche modo la nostra sete verrà estinta) non può essere mantenuta. Non sto dicendo che non ci godiamo mai la vita. Molte cose possono darci un grande piacere: un rapporto, un lavoro, un'attività. Ma vogliamo qualcosa di definitivo. Vogliamo estinguere la sete una volta per tutte, avere tutta l'acqua che vogliamo ogni volta che la vogliamo. Questa promessa di soddisfazione definitiva non viene mai mantenuta. Non può essere mantenuta. Quando otteniamo qualcosa che desideravamo, c'è una soddisfazione momentanea; poi si riaffaccia l'insoddisfazione.
Se da anni e anni tentiamo di attaccare il nostro tubo a questo o quel rubinetto, scoprendo ogni volta che non ci basta, giungerà un momento di profondo scoraggiamento. Cominciamo a sentire che il problema non sta nel non riuscire ad attaccarci a quel determinato rubinetto, perché nulla di esterno è in grado di soddisfare la sete. A questo punto abbiamo maggiori possibilità di iniziare una pratica [zazen] seria. Capire che niente mai ci potrà soddisfare può essere un brutto momento. Forse abbiamo un buon lavoro, un bei rapporto o una bella famiglia, eppure continuiamo a essere assetati. Allora ci si fa chiaro che nulla può davvero appagare le nostre richieste. Non funzionerà neanche qualche cambiamento di vita, come ad esempio spostare i mobili. Questo momento di disperazione è in realtà una benedizione, il vero inizio.
Quando lasciamo andare tutte le aspettative accade un fatto strano: cogliamo un barlume di un altro rubinetto, sinora invisibile. Vi attacchiamo il tubo e scopriamo, con delizia, che l'acqua ne sgorga abbondante. "L'ho trovato!", pensiamo. "L'ho trovato!". E poi? Poi l'acqua viene a mancare un'altra volta. Abbiamo trasferito le nostre richieste nella pratica, e ci ritroviamo di nuovo assetati.
La pratica dev'essere un interminabile processo di delusione. Dobbiamo vedere che qualunque cosa desideriamo, o otteniamo, alla fine ci delude. Tale scoperta è il nostro maestro. Per questo dobbiamo fare attenzione a non dare agli amici che stanno male false speranze e false rassicurazioni. Questa forma di solidarietà, che non è compassione vera, non fa altro che ritardare la loro comprensione. In un certo senso, l'aiuto migliore sta nell'affrettare la loro delusione. Sembra insensibilità, una crudeltà, ma non lo è. Cominciare a vedere che le nostre solite richieste sono fuorvianti, è di aiuto a noi e agli altri. Alla fine diventiamo così intuitivi che prevediamo in anticipo la nostra prossima delusione, sappiamo che il prossimo sforzo per estinguere la sete fallirà come gli altri. La promessa non è mai mantenuta. Anche con una lunga pratica alle spalle continuiamo a volte a cercare false soluzioni, ma mentre le rincorriamo ne riconosciamo molto più rapidamente la futilità. Quando ce ne accorgiamo sempre più in fretta, la pratica sta dando i suoi frutti. Una buona pratica seduta stimola inevitabilmente questa accelerazione. Dobbiamo riconoscere la promessa che esigiamo dagli altri e abbandonare il sogno che gli altri possano estinguere la nostra sete. Dobbiamo riconoscere che è un'impresa senza speranza.
I cristiani chiamano questa comprensione la 'notte oscura dell'anima'. Abbiamo esaurito tutte le possibilità e non sappiamo cos'altro tentare. E così soffriamo. Benché al momento paia dolorosa, questa sofferenza è la svolta. La pratica ci conduce a questa fertile sofferenza e ci aiuta a stare con essa. A un certo punto la sofferenza comincia a trasformarsi, e l'acqua sgorga. Ma, perché succeda, tutte le piacevoli fantasticherie sulla pratica e sulla vita devono svanire, compresa la speranza che una buona pratica, o meglio, una cosa qualsiasi, ci possa dare la felicità. La promessa mai mantenuta si basa su sistemi di credenze che sono pensieri egocentrici che ci mantengono bloccati e assetati. Abbiamo migliaia di credenze, e annullarle tutte è impossibile. Nessuno vive abbastanza a lungo da riuscirci. La pratica non ci chiede di eliminarle, ma di vederle e di riconoscerle vuote, inutili.
Spargiamo credenze a piene mani come riso ai matrimoni. Sbucano dappertutto. Ad esempio, quando si avvicina il Natale, siamo pieni di attese, vogliamo spassarcela e divertirci. Ma se il Natale non corrisponde alle nostre attese, diventiamo depressi e amareggiati. Il Natale sarà come sarà, indipendentemente dalle nostre aspettative. Allo stesso modo, riguardo allo Zen, possiamo nutrire la speranza che la pratica risolverà i nostri problemi e renderà la nostra vita perfetta. Invece la pratica dello Zen ci riporta alla vita così com'è. Lo Zen è essere sempre di più la nostra vita. La nostra vita è semplicemente così com'è, e lo Zen ci aiuta a prenderne atto. Pensare "Se praticherò con pazienza, tutto sarà diverso" è un'altra credenza, una versione diversa della promessa che non viene mai mantenuta. Quali sono le vostre credenze personali? […] >>
Quali sono i rubinetti a cui tentiamo di attaccarci per estinguere la sete? Uno potrebbe essere un lavoro che ci sembra quello adatto a noi. Un altro, il 'partner giusto' o un figlio 'che si comporta come si deve'. Correggere un rapporto personale può sembrarci il modo per arrivare all'acqua. Molti credono che estingueremo la sete solo quando avremo corretto noi stessi. Non è possibile per l'io mettere a posto l'io, ma tentiamo lo stesso. Ciò che consideriamo noi stessi non ci sembra mai pienamente accettabile. "Non faccio abbastanza", "Non ho il successo che merito", "Sono sempre arrabbiato, quindi non valgo niente", . "Sono uno studente incapace". Esigiamo un'infinità di cose da noi stessi e dal mondo. Quasi tutto ci sembra desiderabile, un rubinetto a cui attaccarci per ottenere finalmente l'acqua di cui crediamo di aver bisogno. Le librerie rigurgitano di libri fai-da-te che sbandierano rimedi vari per la nostra sete: Fate innamorare di voi vostro marito, Come costruire l'autostima, e così via. Sia che sembriamo o che non sembriamo sicuri di noi, sotto sotto abbiamo la sensazione che ci manchi qualcosa. Sentiamo di dover mettere a posto la nostra vita, di dover spegnere la nostra sete. Dobbiamo fare quel collegamento, infilare il tubo nel rubinetto e bere quell'acqua.
Il problema è che niente funziona davvero. Cominciamo a scoprire che la promessa che continuiamo a fare a noi stessi (che in qualche modo la nostra sete verrà estinta) non può essere mantenuta. Non sto dicendo che non ci godiamo mai la vita. Molte cose possono darci un grande piacere: un rapporto, un lavoro, un'attività. Ma vogliamo qualcosa di definitivo. Vogliamo estinguere la sete una volta per tutte, avere tutta l'acqua che vogliamo ogni volta che la vogliamo. Questa promessa di soddisfazione definitiva non viene mai mantenuta. Non può essere mantenuta. Quando otteniamo qualcosa che desideravamo, c'è una soddisfazione momentanea; poi si riaffaccia l'insoddisfazione.
Se da anni e anni tentiamo di attaccare il nostro tubo a questo o quel rubinetto, scoprendo ogni volta che non ci basta, giungerà un momento di profondo scoraggiamento. Cominciamo a sentire che il problema non sta nel non riuscire ad attaccarci a quel determinato rubinetto, perché nulla di esterno è in grado di soddisfare la sete. A questo punto abbiamo maggiori possibilità di iniziare una pratica [zazen] seria. Capire che niente mai ci potrà soddisfare può essere un brutto momento. Forse abbiamo un buon lavoro, un bei rapporto o una bella famiglia, eppure continuiamo a essere assetati. Allora ci si fa chiaro che nulla può davvero appagare le nostre richieste. Non funzionerà neanche qualche cambiamento di vita, come ad esempio spostare i mobili. Questo momento di disperazione è in realtà una benedizione, il vero inizio.
Quando lasciamo andare tutte le aspettative accade un fatto strano: cogliamo un barlume di un altro rubinetto, sinora invisibile. Vi attacchiamo il tubo e scopriamo, con delizia, che l'acqua ne sgorga abbondante. "L'ho trovato!", pensiamo. "L'ho trovato!". E poi? Poi l'acqua viene a mancare un'altra volta. Abbiamo trasferito le nostre richieste nella pratica, e ci ritroviamo di nuovo assetati.
La pratica dev'essere un interminabile processo di delusione. Dobbiamo vedere che qualunque cosa desideriamo, o otteniamo, alla fine ci delude. Tale scoperta è il nostro maestro. Per questo dobbiamo fare attenzione a non dare agli amici che stanno male false speranze e false rassicurazioni. Questa forma di solidarietà, che non è compassione vera, non fa altro che ritardare la loro comprensione. In un certo senso, l'aiuto migliore sta nell'affrettare la loro delusione. Sembra insensibilità, una crudeltà, ma non lo è. Cominciare a vedere che le nostre solite richieste sono fuorvianti, è di aiuto a noi e agli altri. Alla fine diventiamo così intuitivi che prevediamo in anticipo la nostra prossima delusione, sappiamo che il prossimo sforzo per estinguere la sete fallirà come gli altri. La promessa non è mai mantenuta. Anche con una lunga pratica alle spalle continuiamo a volte a cercare false soluzioni, ma mentre le rincorriamo ne riconosciamo molto più rapidamente la futilità. Quando ce ne accorgiamo sempre più in fretta, la pratica sta dando i suoi frutti. Una buona pratica seduta stimola inevitabilmente questa accelerazione. Dobbiamo riconoscere la promessa che esigiamo dagli altri e abbandonare il sogno che gli altri possano estinguere la nostra sete. Dobbiamo riconoscere che è un'impresa senza speranza.
I cristiani chiamano questa comprensione la 'notte oscura dell'anima'. Abbiamo esaurito tutte le possibilità e non sappiamo cos'altro tentare. E così soffriamo. Benché al momento paia dolorosa, questa sofferenza è la svolta. La pratica ci conduce a questa fertile sofferenza e ci aiuta a stare con essa. A un certo punto la sofferenza comincia a trasformarsi, e l'acqua sgorga. Ma, perché succeda, tutte le piacevoli fantasticherie sulla pratica e sulla vita devono svanire, compresa la speranza che una buona pratica, o meglio, una cosa qualsiasi, ci possa dare la felicità. La promessa mai mantenuta si basa su sistemi di credenze che sono pensieri egocentrici che ci mantengono bloccati e assetati. Abbiamo migliaia di credenze, e annullarle tutte è impossibile. Nessuno vive abbastanza a lungo da riuscirci. La pratica non ci chiede di eliminarle, ma di vederle e di riconoscerle vuote, inutili.
Spargiamo credenze a piene mani come riso ai matrimoni. Sbucano dappertutto. Ad esempio, quando si avvicina il Natale, siamo pieni di attese, vogliamo spassarcela e divertirci. Ma se il Natale non corrisponde alle nostre attese, diventiamo depressi e amareggiati. Il Natale sarà come sarà, indipendentemente dalle nostre aspettative. Allo stesso modo, riguardo allo Zen, possiamo nutrire la speranza che la pratica risolverà i nostri problemi e renderà la nostra vita perfetta. Invece la pratica dello Zen ci riporta alla vita così com'è. Lo Zen è essere sempre di più la nostra vita. La nostra vita è semplicemente così com'è, e lo Zen ci aiuta a prenderne atto. Pensare "Se praticherò con pazienza, tutto sarà diverso" è un'altra credenza, una versione diversa della promessa che non viene mai mantenuta. Quali sono le vostre credenze personali? […] >>
(da Charlotte Joko Beck, "Niente di speciale. Vivere lo zen")
(da http://www.buddhismobari.it/Buddhismo%20Zen.htm, 15-8-2016, h 20:55)