Scritto da © Ezio Falcomer - Gio, 28/04/2016 - 10:28
Canto brandelli d'anima
con vocaboli dimessi e lisi.
Ho campato di libidine fino ad ora,
di mania istrionica e dongiovannesca.
Ma mi rimane in mano
una senilità stanca e disincantata.
Canto savane desolate,
mangio il frutto dolceamaro di ogni giorno.
Stono mentre canto,
una slavata affabulazione.
Stendo un tappeto di solitudine.
Non ho progetti, non ho orizzonti;
ho solo ogni preciso istante che passa,
dove fiondare uno sguardo senza lacrime.
Annegato fra rottami di decenni,
ho un violino scordato e prosaico.
Guardo le erbacce che crescono sui miei vasi.
Mi divincolo in una noia
di sensata e discreta stanchezza.
Sono tediato dal palcoscenico.
Tento di gettare righe
prosaiche, litanie,
preghiere in monosillabi arcaici,
in epistolari diluizioni dove il tempo
si sfiata,
dove il giorno stracco si riposa.
Lancio suoni inutili,
senza ricerca di profitto.
Una routine di esistenza
con toni da sonata
estenuata e astenica.
Intarsio di scrittura il prato grigio.
Osservo e lascio andare via ogni cosa.
con vocaboli dimessi e lisi.
Ho campato di libidine fino ad ora,
di mania istrionica e dongiovannesca.
Ma mi rimane in mano
una senilità stanca e disincantata.
Canto savane desolate,
mangio il frutto dolceamaro di ogni giorno.
Stono mentre canto,
una slavata affabulazione.
Stendo un tappeto di solitudine.
Non ho progetti, non ho orizzonti;
ho solo ogni preciso istante che passa,
dove fiondare uno sguardo senza lacrime.
Annegato fra rottami di decenni,
ho un violino scordato e prosaico.
Guardo le erbacce che crescono sui miei vasi.
Mi divincolo in una noia
di sensata e discreta stanchezza.
Sono tediato dal palcoscenico.
Tento di gettare righe
prosaiche, litanie,
preghiere in monosillabi arcaici,
in epistolari diluizioni dove il tempo
si sfiata,
dove il giorno stracco si riposa.
Lancio suoni inutili,
senza ricerca di profitto.
Una routine di esistenza
con toni da sonata
estenuata e astenica.
Intarsio di scrittura il prato grigio.
Osservo e lascio andare via ogni cosa.
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