Scritto da © Anonimo - Gio, 03/06/2010 - 10:55
Spesso occhi e tocchi sono corti. guidano i camminamenti
le rincorse vuote. vorresti prendere senza esser preso.
suonano a vista le campane, quand’occorre. lei non sa
che non la vedo lontano: sa che l’odo. sento la voce, e devo dormire
per apparirle. ma non vedo in giro di belli che la rubano. non è
merce, non è rara: è unica. allora mi dico che arrendersi è più male
del male stesso come se in gioco ci fosse
un perché non farlo e si facesse.
Quindi lui, l’occhio, si butta passando a destra
e là. direi che tocca ogni tua cosa per sentirla sua.
per credere che sia vera, usa le mani. non le stesse mie:
le stesse tue; ma non vede da lontano e insidia di brutto. prendi me,
ad esempio, vedendoti alla finestra la schiena,
credo al sorriso dell’attesa e tocco i miei denti;
ed anch’io aspetto, nient’affatto ridendo.
Parleresti a qualcuno che non c’è, mi dico e taccio,
ma rideresti se io lo facessi dalla porta,
incespicando a un cenno d’abbraccio, gli occhi che ancora
non si toccano più delle labbra? ci vorrebbero mani diverse
ma solo le nostre con quell’abitudine ad essere altrove.
non lontano, al buio.
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