Scritto da © Amina Narimi - Lun, 04/04/2016 - 16:19
Abitata dal verde
non ti nascondo la piaga,
luminosa,
la bestia santa
sul pudore della parola
invincibile
quando spunta il fiore
non può essere detta la grazia
che smaschera un Dio.
- quale veggente cecità
ti tiene prigioniero di ciò che sveli,
non potendo sopportare il peso della libertà
scegli la felicità
dimentico del sapore dell’intero.
Eppure la candela rimane accesa
in mezzo al più violento temporale
penetrando nella sua bellezza
fino al tempo del riposo. Colma,
assimilando il male dopo gli occhi
cammino ad ospitare il movimento
del pensiero. La grazia,
la grazia è il ritorno di ogni libertà,
quando non c’è più nulla da fare
bisogna essere, aman,
anche lavandosi con l’acqua sporca
ogni mattina
preservandosi puri
nel rituale del risveglio-
come un modo per aiutare Dio,
divenendo Noi
divini,
e cruciali, ovunque diffusi.
Incarnando la mancanza
ho tenuto tra le braccia nostro figlio,
nostro figlio morente,
mutando la nascita in deposizione
nel suo ultimo respiro ho urlato
“io sono madre”
rilanciando la vita
prima degli occhi-
dov’è radicale la forza del bene,
irreversibile.- Coli dalle dita
e dappertutto
rimani
dove il Canto risplende
nel lunghissimo Ora
che sei
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