Scritto da © Carlo Gabbi - Mer, 20/01/2016 - 23:28
Edizione Italiana, Parte Terza
Il sogno di Mussolini era di ricreare la gloria di un Secondo Impero Romano, e in questa illusione precipitò l’Italia entro una nuova Guerra mondiale al fianco del Terzo Reich.
Quella fu la sua colpa maggiore, pensare di poter vincere una guerra con armamenti antiquati nella vana gloria di ricreare le magnificenze del tempo Romano.
Non occorse molto tempo per potersi ricredere quali fossero veramente le colpe. a alcuni Sin dopo alcuni mesi dall’inizio della nuova avventura militare, fu possibile comprendere che nulla era in favore sui diversi fronti. L’Italia si precipitò a entrare in guerra quando la Francia era ormai prostrata dalla rapida campagna Tedesca. Il Duce pensava di avvantaggiarsi con un buon bottino e riprendersi Nizza e Savoia, che furono cedute nel secolo precedente. Sebbene il nemico fosse agli stremi, le truppe italiane arrivarono con grande difficoltà in Nizza. Guardiamo ora brevemente cosa avvenne sul fronte Greco. L’Italia schierò le proprie truppe sulle alture dei monti Albanesi (allora territorio Italiano) e incominciò la campagna nel tardo autunno in un terreno montano svantaggioso. Mai pensò di inoltrarsi con una rapida avanzata su un terreno facile e pianeggiante. I monti si ricoprirono presto con nevi e i ghiacci invernali costrinsero le truppe a vivere in un intenso clima polare, unicamente equipaggiate con normali uniformi e costrette a vivere sotto le tende. Conseguenza? Migliaia di soldati italiani ebbero congelati i loro arti che vennero amputati. Sui vari fronti mancava l’adeguata preparazione delle truppe in quella guerra che aveva superato il tempo delle trincee del passato e che abbisognava di un equipaggiamento moderno, leggero e duttile per combattere una guerra veloce e dinamica. Purtroppo questa visione e capacità, era una cosa inconcepibile per gli anziani generali Italiani. Quella, fu la ragione che una vittoria fosse impossibile, in particolare su un terreno pianeggiante, come si presentava sui deserti della Libia. Mancava la dinamicità di gruppi combattivi armati con armi leggere e automatiche e svettanti velocemente su automezzi semicingolati, come ben lo era il nemico britannico. Cose che mai il regime fascista aveva tenuto in considerazione.
In Libia l’Italia aveva schierato un antiquato equipaggiamento, residuo della guerra Etiopica, che forse aveva servito bene contro le lance dello Scià Menelik. Purtroppo i carri armati fascisti erano minuscoli e mal armati, e una bomba a mano poteva immobilizzati, piccoli giocattoli che facevano scaturire le risa del nemico.
Presto in Italia si rumoreggiò per le ripetute sconfitte militari sui campi aperti e degli stagnamenti di quelle povere truppe che morivano tra i geli dei monti Ellenici.
Quello che sconcertava era la propaganda Fascista che presentava gli andamenti bellici nei giornalieri bollettini di guerra come vittoriosi.
~*~.
Al principio delle ostilità militari vi erano ancora molti Italiani che applaudivano la saggezza di Mussolini e che credevano possibile di ottenere alla fine della guerra il benessere proclamato dal Regime Fascista.
Tra questi fanatici vi era Pietro che considerava giusta la politica Fascista e dichiarava che la guerra avrebbe visto Mussolini vittorioso con il prestigio del Nuovo Impero.
Per i suoi infervoramenti politici, Pietro trascorreva ora lunghe ore nell’osteria di Piazza Santa Caterina. Dal suo cuore rigonfio di amor patrio, sgorgavano parole inneggianti. Purtroppo la sua gola si dissecava nei lunghi dibattiti e più che mai aveva bisogno di essere umettata con diversi bicchieri di vino.
In quella vita di zelo patriotico ritornava a casa ubriaco più del consueto e naturalmente la vita matrimoniale ne risentiva.
Maria era giunta allo stremo delle sue umane sopportazioni a causa dei continui maltrattamenti causati da Pietro. La donna era di carattere debole e le mancava l’ardire di ribellarsi ai desideri brutali del marito e stoicamente sopportava. In cuor suo, molte volte aveva pensato di scappare da lui, ma come poteva ardire di abbandonare la famiglia cercando un rifugio lontano dal marito? Nel riconsiderare meglio la cosa vedeva quanto questo fosse impossibile, non esistevano luoghi o persone amiche per realizzare ciò.
“E` tutto così vago, e come poi potrei sopravvivere? Non ho alcuna risorsa finanziaria per vivere, e mai potrei abbandonare mia figlia più giovane…è ancora una bambina e ha bisogno di me.” Maria pensava, mentre i singhiozzi le chiudevano la gola.
Lucia, la figlia maggiore, sebbene solo quattordicenne, era l’unica che le offrisse conforto e aiuto morale. Era considerata verso la madre e l’aiutava nel modo migliore delle sue capacità per alleviare i suoi lavori casalinghi. Le stava vicino dicendole parole dolci e rassicuranti. Durante quei giorni di circostanze dolorose le due donne si erano comprese.
Maria era ora usualmente smunta e pallida, consumata dal suo continuo dolore, e intravvedeva le miserie future. Più che mai si sentiva umiliata da quell’uomo che nel passato era stato rispettoso, e oltre che marito era stato un buon amico, capace di provvedere al necessario per l’andamento degli affari famigliari e per la crescita dei figli.
Ora Pietro era succube dal vizio del bere e stava conducendo la famiglia alla rovina. Era ormai scontato che tra breve la loro unione si sarebbe spezzata. Maria era esasperata dai continui maltrattamenti, ed era giunta alla fine della sopportazione umana. Di continuo echeggiavano nel suo pensiero le rudi parole scagliatele da Pietro durante le notti che rincasava ubriaco. Maria era stordita dalla sua rudezza e che aveva scalfito un profondo solco nel suo animo. Era per lei un’ossessione continua. Era un logorio fisico e mentale. Sentiva di impazzire nel ricordo della sua voce sghignazzante, che era divenuta la maggiore tortura nella sua mente. Non esistevano scuse alle parole sprezzanti di lui, anche se fossero dettate dall’alcol. Mancava in lui la minima considerazione verso colei che era pur sempre la sua donna, amata nel passato, ma che ora torturava nel modo più implacabile. La sua voce era assordante e ripetitiva;
“ …guardati bene Maria nello specchio. Vi troverai impressa l’immagine di una puttana… si, è quello che sei ora, sei peggiore di quelle donne che lavorano nei bordelli…”
Mai prima, nella sua vita intera si era sentita tanto vilipesa, e ora lo era da parte del proprio marito.
Quello il motivo per cui si era lasciata andare e aveva perso interesse per la vita. Sentiva la mancanza del calore umano proveniente dal proprio marito. Perciò il vivere aveva perso la ragione di essere. Le mancava la gioia donata dalla vita coniugale, tutto crollava intorno a lei.
Ora vi era unicamente Lucia che potesse capire e che le fosse vicino. Era l’unico venticello d’amore che le intiepidiva il cuore. Lucia era solidale con la madre ed era preoccupata nel vederla perdere interesse di ciò che la circondava, la sua casa e i suoi figli erano i primi a soffrirne. Le cose precipitavano distruggendola fisicamente. Giorno dopo giorno diveniva più smunta e pallida e il sorriso sulle labbra era da lungo tempo svanito.
Quella sera Maria era più che mai prostrata, senza forze e sbiancata in viso, e in angolo della casa piangeva sommessamente. Il giorno era scuro e piovoso e come di consueto nelle ultime settimane, Pietro non sarebbe rincasato presto. Una volta ancora sarebbe ritornato tardi e ubriaco dall’ennesima escursione nell’osteria di Piazza Santa Caterina. La notte si annunciava brutale per la povera donna, sapeva che la mattina seguente vi sarebbero innumerevoli lividi sparsi sul suo corpo dopo un’ultima lotta sessuale.
Lucia comprese in quale stato d’animo si trovasse la madre. Le andò vicino abbracciandola le parlò;
“Mammina, dobbiamo parlare, e tu devi ascoltami bene. Ti devo molto e non posso vederti soffrire. Ho pensato che stasera sarò io ad attendere il ritorno di mio padre…”
“No, Lucia, mai e poi mai… sai bene quanto violento sia ora…ti può picchiare e farti male…”
“No mammina, sai bene che io sono l’unica che lui vuole un po` di bene. Mi dice ancora che io sono la perla dei suoi occhi e ancora vuole che mi sieda sulle sue ginocchia…”
“No, Lucia. Tuo padre è un maniaco ora, sai bene che il vino gli sta annebbiato la mente e capace di bastonare chi non fa esattamente come lui vuole…”
“Sono sicura, mammina…so che mi ascolterà e sarà felice di vedermi al suo arrivo… Vale la pena di provare, e tu te ne vai a riposare. Ne hai tanto bisogno.”
“Ne sei proprio sicura?”
Si, so come devo fare. Vedrai tutto andrà bene. Per ingraziarmelo, gli preparerò il minestrone con il musetto, come piace a lui e mentre mangerà il suo piatto preferito, gli leggerò, dal libro che ho preso oggi alla libreria. Parla di Mussolini, e lui ascolterà ogni parola. Vedrai, dimenticherà tutto il resto… tutto sarà per il meglio. Ho pure pensato cosa devo fare per tenerlo calmo.”
Maria non era completamente convinta dalle parole della figlia ma quella sera più che mai sentiva il bisogno di stare lontano da Pietro. Lucia aveva ragione, era giunta agli stremi delle sue forze fisiche.
Anche se avesse dubbi, trasse un profondo sospiro dicendole;
“Spero che il buon Dio ti ascolti. Sei coraggiosa, e una brava ragazza!”
~*~
Per prevenire le furie paterne come prima cosa fece un’accurata pulizia della casa e far si che al suo ritorno tutto si trovasse nel modo a lui gradito. Pensò pure di rallegrare il luogo con un discreto mazzo di fiori raccolto nel piccolo giardino, che ora troneggiava in un vaso sopra il tavolo, che aveva ricoperto con una candida tovaglia. Aveva ripulito per bene la lampada a petrolio. Il vetro rispecchiava come un cristallo, e la basa di ottone, era stata ben lucidata. Aveva pure preso cura di cambiare lo stoppino con uno nuovo, per essere sicura che la luce della lampada si fosse spanta luminosa nella stanza.
In bella vista sul tavolo aveva posto il libro, preso nel mattino alla libreria. La copertina presentava una bella foto di Mussolini. Lucia sperava che quell’ultima attenzione, fosse la più gradita al padre e di calmarne l’animo. Si era presa cura di cucinare il suo piatto preferito, il minestrone con il musetto e il profumo di quello s’irradiava per la stanza. Sapeva che quel piacevole odore avrebbe stuzzicato l’appetito del padre.
Alla fine di quei preparativi, Lucia prese buona cura della sua persona, per essere maggiormente gradita. Aveva ben pettinato e acconciato i suoi lunghi capelli castani entro una coda di cavallo, che mettevano in risalto i suoi lineamenti gentili, e aveva indossato il suo vestito migliore, quello che usava nell’andare alla messa domenicale, e che profumava di lavanda. Si sentiva soddisfatta per le sue preparazioni accurate, certa che il padre avrebbe lodato i meriti, e in cuor suo era pronta a ricevere il padre al suo rientro. Stava seduta, con lo sguardo rivolto verso il vicolo da dove lui sarebbe giunto. Vi era speranza nello sguardo della giovane donna per la buona riuscita della sera, sebbene fosse pure presa dall’ansia.
L’attesa trascorreva lentamente e con il calare della notte l’aria si era permeata dal gelo.
Finalmente Lucia udì i passi pesanti del padre che gracidavano nella ghiaia del viottolo, mentre il riflesso allungato della sua ombra si stagliava sotto i raggi lunari. Erano udibili pure le imprecazioni lanciate da Pietro che si muoveva malsicuro nei suoi passi mentre si inerpicava sullo scosceso viottolo.
Il suo arrivo rumoroso sembrava un preludio difficile per Lucia, sebbene ancora fosse speranzosa nella buona riuscita.
La completa ubriacatura paterna non discoraggiò Lucia. Andò ad aprire la porta e lo accolse con un sorriso soave;
“Spero che la tua giornata sia stata buona, Papino. La mamma non stava bene così ho deciso di sostituirla nel servirti la cena.”
“Le cose vanno per il peggio, con quella poco di buono, è capace di nulla, non può nemmeno aspettare…Dovrò ricordarle quali sono i suoi doveri maritali…”
“Papino, siediti a tavola, non arrabbiarti. La cena è pronta con la zuppa che preferisci. Mentre mangi leggero da un nuovo libro che parla di Mussolini e i benefici che avranno gli italiani con il Nuovo Impero.”
Pietro non seguiva quanto la figlia diceva. Cercava lo spunto per mugugnare su qualcosa, così i suoi occhi vagavano in giro per trovare una ragione per dare sfogo alla sua rabbia nascente.
“Donne… tutte uguali…e chi le può cambiare? Siate giovani o vecchie ma siete ugualmente incapaci. Sapete solo imbellettarsi per mettersi in mostra dei vostri morosi…,poi alla fine? Buone a niente, non è vero…?” Così Pietro iniziò la cantilena con malumore.
Poi più raucamente; “Guardati in giro e cosa vedi? Come al solito la casa è un porcile. La minestra… Dalla pure ai maiali… Poi dimmi un po’, perché mai tua madre non mi ha aspettato? Dovrebbe sapere il suo primo dovere come moglie. Non ti ha forse detto che deve soddisfare le mie esigenze maschili?”
“Per favore, Papino, cerca di comprendere. La mamma stava poco bene, quindi ti ho atteso in vece sua. Niente di strano, vero?”
“Ti ha forse detto quali sono i suoi obblighi durante la notte? Deve aspettarmi, per darmi ciò che mi è dovuto, hai capito ora… Ma che stupido! Ora che ci penso…eeee, la sapete ben lunga voi donne… scommetto che ti ha dato l’incarico di sbrigare tutti quei suoi doveri a mio riguardo?”
“Cosa intendi dire, Papà?”
Fu in quel momento che Pietro strabuzzò gli occhi e guardò intensamente Lucia. La vide non più come la fanciulla di sempre, ma bensì come una attraente giovane donna, mentre i suoi occhi divenivano ripieni di cupidigia.
“Che stupido! Dovevo immaginarmelo, vero? Quello è quanto avete complottato per tutto il pomeriggio, non è vero, Lucia? Dovevo ben conoscere il pensiero di tua madre. La ragazzina sta diventando donna ora così deve imparare come fare certe cose. E chi meglio del proprio padre può insegnarle cosa fare a letto?”
Lucia si sentì preoccupata.
“Padre! Non puoi farmi questo. SONO TUA FIGLIA!”
“Sei vecchia abbastanza per imparare. Ti darò una buona lezione, vedrai!”
Con un ultimo velo di speranza grido`; “PAPA`!”
Ora Pietro pensava unicamente al suo piacere. Non gli importava altro. Spinse con forza la figlia sopra la tavola, mentre le strappava i vestiti da addosso. Alla vista del giovane corpo Pietro perse completamente l’uso della ragione e divenne preda della libidine più insana e selvaggiamente si gettò sopra il suo corpo virginale. Digrignò rabbiosamente, nel sentire la figlia ribellarsi al suo volere. Spinse con più forza entrando in lei, Lucia reagì allo stupro e al dolore fisico, con lo scalciare ostinatamente, mentre si divincolava, ma non un singolo grido venne da lei mentre subiva la violenza carnale.
Lucia era terrificata ora per quanto avveniva, ma non si arrese facilmente alla forzuta umiliazione del suo corpo. Era troppo quanto stava subendo da parte di chi avrebbe dovuto amarla e proteggerla. Sentiva il dolore morale essere peggiore di quello fisico. Cosa mai sarebbe il domani per lei? Come potrebbe starsene a testa alta al cospetto di chi ben presto sarebbe a conoscenza dei fatti?
Egli era divenuto inumano e raggiunto il culmine di quell’atto contro natura, esplose in un acuto urlo di belva selvaggia assaporando con gioia il sapore della tenera preda. Urlo che echeggiò tra le mura domestiche risvegliando tutti, ma nessun venne in aiuto della povera ragazza. Maria si era fatta piccina, arrotolandosi nel modo fetale sotto le lenzuola, ponendo il cuscino sopra la faccia e turandosi per bene le orecchie. Non volle udire quell’urlo rauco del vittorioso maschio. Non volle pensare alla figlia che era stata immolata sul letto sacrificale in vece sua. Stava tremando, con le ginocchia che toccavano il suo mento, e i denti che le sbattevano in bocca, in un continuo rumorio. Era impaurita, non per quanto era avvenuto alla figlia ma nel pensare di poter essere lei la seconda preda del marito durante quella notte infame. Nella sua ragione malferma pensò che quella fine era stata causata dalla figlia, per essersi opposta ai desideri e voleri di Pietro, loro padre e padrone.
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