Il conte lazzaro (leggende napoletane) | Lingua italiana | Antonio Cristoforo Rendola | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Il conte lazzaro (leggende napoletane)

Dopo l’esecuzione di Maria Antonietta, sorella di Maria Carolina d’Asburgo, nel 1799 la politica napoletana assunse un chiaro atteggiamento ostile alla Francia. I Borboni aderirono alla coalizione  antifrancese  ed organizzarono in poco tempo un esercito di 70.000 uomini che fu sconfitto e sbaragliato in battaglia dal generale napoleonico Jeanne Etienne Championel. Alla capitolazione il popolo napoletano insorse contro i francesi nella cosiddetta “ Rivolta  dei lazzari” e la città cadde in preda all’anarchia.
Ma chi erano questi Lazzari ? Per quel che ne sapevo essi erano giovani popolani che si adattavano a fare qualsiasi lavoro si presentasse loro occasionalmente, mendicavano e commettevano piccoli furti e truffe . Essi avevano un loro codice  di gruppo ed una propria gerarchia che prevedeva un capo dei capi, ufficialmente riconosciuto ed accolto alla corte reale. Egli vestiva sempre in modo elegante con abiti di gran pregio e monili altrettanto splendidi. Al capo dei capi seguivano i capo gregari che venivano scelti per nomina del loro superiore che valutava nei candidati coraggio, determinazione, forza, eroismo e personalità.
Storicamente i Lazzari nacquero con Masaniello,[1] più precisamente con gli “alarbi” i suoi giovani e combattivi seguaci, seminudi e laceri, che avevano per insegna una bandiera nera e presero il nome dal Lazzaro del Vangelo.
Cambiai posizione nel letto, questa volta quasi distendendomi e poggiando la testa sul cuscino
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“In quel tempo il capo dei capi dei Lazzari era un uomo di una personalità particolare del quale quasi nulla si sapeva: poche parole, sguardi eloquenti, elegantissimo,  dall’aspetto fisico attraente e misterioso. Neanche si sapeva perché fosse a Napoli  e cosa ci fosse venuto a fare visto che non era partenopeo.
Si sapeva, tuttavia, che era ospite nella villa di uno dei capi-gregari Antonio d’Avella detto Pagliuchella , inoltre si sapeva che era nato a Sighisoara in Transilvania Regno d’Ungheria e che si chiamava Conte Vlad III di Valacchia.
Fu membro del casato dei Draculeti ed era meglio conosciuto col suo nome patronimico: Dracula. Quando ancora era nella sua terra sposò Ilona Szilagui per la quale nutriva un grande amore.
-Voglio essere come voi volete che sia. – le diceva – Vedere come voi volete che veda ed amare come voi volete che ami.
Accadde che il Conte andò in battaglia contro gli Ottomani e di tanti ne fece strage che questi pensarono di colpirlo arrecandogli danni collaterali. Fecero spargere la voce  nella dimora della moglie che egli era stato catturato ed impalato. A seguito di ciò, Ilona, presa dalla disperazione, si butto da una torre del castello.
-Mio conte, la sua donna si tolse la vita…- disse un sacerdote – La sua anima è condannata in eterno.-
-E’ questo, adunque, il mio guiderdone per aver portato ausilio e salvato la Santa Chiesa? – urlò il Conte. – Ebbene, seguirolla e da morte risusciterò per vendicare la sua con i poteri che mi conferiranno le tenebre!-
Detto fatto sguainò la spada  e si trafisse. Senza lanciare un gemito si accasciò in terra e, pronunciando il nome dell’amata, morì.
Dopo la morte c’è chi giurò di averlo visto in luoghi diversi ed in epoche differenti. Durante il suo peregrinare giunse a Napoli mentre impazzava la rivoluzione per l’affermazione della Repubblica Partenopea nel 1799.
-Napoli mǎ fermecat. –[2] affermava in rumeno parlando della città – Cultul mortilor deorace practica din Napoli nu este in uz oriunde - [3].
Vivendo a contatto con il popolo, in breve si fece apprezzare per le sue doti di impavido guerriero tanto da entrare nel gruppo dei Lazzaroni e da diventarne il capo dei capi col nome di conte Lazzaro. Il Pagliuchella gli mise a disposizione quale attendente Rosario, un giovane Lazzarone di Cuma per il quale egli ebbe una predizione particolare. Rosario era l’unico che sapeva qualcosa di lui in quanto egli  raccontava della sua terra, dei suoi avi, delle sue guerre e della sua amatissima Ilona.
Il giovane rimaneva confuso da quelle anacronistiche storie confuse nei tempi e nei luoghi, ma pensava che il Conte lo facesse apposta per mitizzare sua moglie.
-Vorrei bagnare il tuo cuore con le mie lacrime – diceva Dracul – per farti percepire l’amore che portavo per lei, ma maledetta sia la mia nemica eternità perché mi da lei mi terrà separato per sempre|- Il povero rosario assentiva senza capire.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
L’ululo forte e lungo di un cane mi distolse dalla lettura. Quel lamento straziante si trascinò lungo il vicoletto Bausan appena appena illuminato da vecchi lampioni stradali.
Un gatto ringhiò ed una luce si accese filtrando attraverso le ante socchiuse di una finestra sul davanzale della quale stava morendo un geranio. Coglievo attimi che si dileguavano rapidi come fatui bagliori, come scintille fulgide che cadono nel buio della notte. La notte che dovrebbe essere ovattata e silenziosa, ricettacolo di pensieri, sogni, desideri, fonte di gioie e di dolori era per me solo compagna della mia lettura sempre più attenta, sempre alla ricerca di qualcosa che non riuscivo a trovare.
Deposi il libro sulle gambe e mi venne in mente di come il romantico dandy londinese descritto nel film di Francis Ford Coppola[4] fosse del tutto simile al Conte Lazzaro di cui stavo leggendo e le cui caratteristiche geniali erano sinonimo di individuo eccezionale dotato di carisma, di senso del comando e di prestigio.  
 
 
 
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“Nel 1799 la Repubblca napoletana era ormai cosa fatta, ma i 20 membri che ne componevano il direttorio con il beneplacido dei francesi conquistatori erano ben lungi dal comprendere le vere esigenze del popolo partenopeo. Il malcontento iniziò subito a serpeggiare  e nacquero così le prime fasce di opposizione  che, essendo mal tollerate, furono represse con processi sommari e condanne esemplari. I primi a rimettere mano alle armi furono i Lazzaroni.
Un gruppo di essi con il Conte Lazzaro, con il suo attendente Rosario e con Antonio d’Avella fu assediato in Castel dell’Ovo dall’esercito Regio della “Santa Fede” riunito sotto il comando del Cardinale Ruffo spalleggiato da feroci briganti come Fra’ Diavolo e il Mammone che speravano in tal modo di guadagnarsi l’indulgenza ecclesiastica.
Per diversi giorni un manipolo di lazzaroni , con l’ausilio anche di strani ed inspiegabili avvenimenti, tennero testa alle ingenti truppe dell’esercito Regio. Ma quali furono codesti strani avvenimenti e cosa produssero?
Ebbene una notte si alzò in volo un grosso pipistrello che, volteggiando sulla rocca, si moltiplicò in altri centinaia di individui che tutti insieme puntarono sull’accampamento nemico, lo attaccarono e lasciarono in terra un considerevole numero di morti e feriti.
-Mai aggio visto ‘na cosa comm’è chesta!- disse Fra’ Diavolo.
-Animale schifuse che vuolene e ci attaccano! Ma che diavularia è? - aggiunse il Mammone. Ma ad attaccare non furono solo i pipistrelli. Un’altra notte migliaia di topi invasero il campo nemico e cominciarono a mordere i piedi di tutti quelli che vi si trovavano davanti. Un’altra notte ancora, preceduti da terrificanti ululati, si abbatterono sui soldati nemici decine e decine di lupi famelici che li azzannarono provocando altri morti e feriti.
Durante questi attacchi il Conte era in piedi sul punto più alto della rocca. Il suo antico mantello e i suoi lunghi capelli sventolavano al vento. La sua figura, davanti al cerchio di una luna straordinariamente grande, si confondeva in due contrastanti colori: da una parte il rosso di fuoco spennellato dal sole al tramonto e dall’altra il blu del cielo che si chiudeva nell’oscurità della notte.”
 
 
 
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Ormai era notte fonda, quegli attimi malinconici che scandivano le ore penetravano nella mia anima e mi trasportavano nel loro momento. “Don- don  sussurravano – dormi – quegli spazi di tempo di tenebre. Mi sconvolgevano e mi catturavano nel loro rintocchi che fuggivano fuori nell’aria ora del tutto silenziosa. Non si udiva più il lamento straziante dei cani né un sommesso latrare, né ora alcun gatto friniva e la luce che ancora filtrava attraverso le ante della mia finestra ora si rifletteva dentro di me quale compagna della mia solitudine e delle mie paure ancestrali.
 
 
 
 
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“Onde gigantesche si frantumavano sulla scogliera dell’antica isoletta di Megaris sulla quale era  stata edificata la fortezza e lo sguardo e impenetrabile del Conte Lazzaro sembrava  alimentare la loro furia.
Rosario raggiunse il capo dei capi e gli chiese:
-Signore mio, ma com’è che codesto succede?-
-Avviene poiché gli uomini non si avvedono di combattere spesso contro le loro stesse paure. Cosa vuoi che ci sia di più terrificante se non scontrarsi con se medesimi?  - rispose Vald.
Ai due si accostò anche il d’Avella che disse:
-Hanno pigliato ‘n tosta lezione da ‘sti avvinimenti.-
-Si,- rispose il Conte – ciononostante la loro sete di potere avrà ragione di noi.-
-Voi potete allontanare l’amarezza contenuta in questo calice, Conte?-
-Non posso evitare di berlo questo Aloe[5] mio fido…-rispose Vlad – Nessuno può cambiare il destino, sconvolgere l’equilibrio dell’andamento delle cose. Io sono in equilibrio tra la vita e la morte da 400 anni, mio giovane amico, ma non so come sia la vita e come sia la morte. Ho veduto il tempo scorrermi intorno; ho visto morire tutto ciò che è nato, ma prima l’ho visto evolversi. Evolversi. Tutto ho visto mutare men che me stesso.-
Si udì una voce gridare: - Movimenti dal lato sud! –
Accorsero subito il Conte e Rosario unitamente ad una decina di persone.
-Conte, stanno a piazzà li cannuni…- disse il d’Avella.
-Dobbiamo ritirarci nella roccaforte interna – urlò Vlad. Il Castel dell’Ovo si animò improvvisamente così come un formicaio scoperto da un intruso. Urla concitate ed imprecazioni  si levavano da tutte le parti e la paura disperdeva tutti nel suo labirinto.
Il filosofo Lucrezio affermava che proprio la paura può rappresentare un’arma. Con tale armamento le decine di Lazzaroni si apprestarono a difendersi nel castello.
-Signò, la paura mia più grande è quella di far fatica a morire.- disse Rosario e si avvicinò ad una feritoia per osservare i movimenti del nemico.
-Cosa fanno?- chiese il Conte seduto in terra con la schiena  appoggiata ad un muro.
-Ormai hanno caricato i cannoni. Ci farriano a piezzi!-
Il bombardamento ebbe inizio ma le parabole, troppo alte, portarono i colpi a finire in mare oltre la fortezza. Dopo qualche minuto, però, gli artiglieri “Santafedini”[6] aggiustarono il tiro e cominciarono a colpire il bersaglio.
Con enorme frastuono le pietre saltavano in aria e con esse uomini e cose, tutti scagliati con inaudita violenza a centinaia di metri di distanza. Tra la polvere si udivano urla di dolore, ma i Lazzaroni non si lasciarono, tuttavia intimidire, così via via che  le postazioni più basse ed esterne venivano colpite, essi si rifugiavano  nei siti più interni non lesinando colpi di spingarde e fucili con i quali, abbatterono un gran numero i nemici.
Ma la disfatta ormai era nella consapevolezza degli assediati. Un giovane lazzaro salì su un muro dirupato sventolando una bandiera nera[7] in atto di sfida contro le truppe del Cardinale Ruffo che, apprezzando il gesto di coraggio, fece cenno di cessare il fuoco.
-Frate[8]! Simme tutti frate! Figli d’’a stessa mamma e magnamme dint’’o stesso piatto!- urlò il giovane. Un silenzio improvviso scese sul campo di battaglia , tacquero cannoni, spingarde e fucili. Il formicolio cessò, il fumo e la polvere si diradarono piano piano lasciando intravedere le facce sporche dei Lazzaroni, gli abiti a brandelli, il sangue che colava dalle ferite, alcuni erano tanto ricoperti da fango da sembrare statue d’argilla.
-Cellenza…-gridò ancora il giovane al Cardinale Ruffo.
-E dici…-
- Io dico: vulimme cuntrattà la pace e ce ne jamme cuntente e felice tutte quante?-
- He ditto?
-Aggio ditto!-
-E mo’ allora dich’io: Chi te dicec che nu Lazzarone potesse cuntrattà co’ no rappresentante della Santa Fede? Sì pazzo si lu cride! Per lo tramento lassate ire l’arme e forse morirete senza sofferenza…-
-Mai! Vienatille a piglià tu stesso  ‘sti vite si tiene lu curaggio!-
Ruffo fece un cenno ed un drappello di fucilieri lasciò partire una grandinata di colpi che abbatterono il giovane lazzaro.
-Bastardi ‘e chi v’è muorto!- gridò il d’Avella che da un sito più in alto aveva assistito alla scena.
Subito un’altra scarica di fucilate lo investì ed abbatte anche lui che cadde come sacco vuoto senza un lamento.
-E’ il momento buono! – disse il Conte alzandosi. –Andiamo!-
-Do’ Jamme?- rispose Rosario.
Il Conte, senza profferir parola,  scattò in piedi e discese dagli spalti della roca interna nella quale si erano rifugiati.
Rosario lo seguì e nello scendere s’avvide che due brigantini, armati di tutto punto, avevano preso posizione in mare sul lato est del castello.
-‘O signurì guardate…- disse.
-Vedo!- gridò Vlad.
I due scesero velocemente, attraversarono il cortile della fortezza e s’infilarono in un lungo e stretto cunicolo che portava alle segrete.
I brigantini cominciarono a cannoneggiare da est mentre le  truppe dei Santafedini incalzavano dalla parte opposta, così in poco tempo la fortezza fu presa.
I Lazzaroni superstiti furono fucilati o impiccati mentre il Capo dei Capi ed il suo attendente non furono trovati. Essi, attraverso un sottopassaggio scavato sotto la striscia di terra che univa l’isolotto di Megaris con la terra ferma, passarono oltre le linee nemiche e ripararono in casa del d’Avella.
Strani, inspiegabili e   lugubri avvenimenti accaddero da quel giorno sia nella città di Napoli che in periferia. Tali furono soprattutto frequenti tanto che se ne dovette interessare a pieno regime la polizia borbonica. Or dunque accadde che molti soldati vennero trovati  sgozzati come ad assalirli fossero stati dei lupi, altri dissanguati con due grossi fori nel collo come se invece ad assalirli fossero stati degli enormi pipistrelli, altri, infine, furono rinvenuti morsicati completamente da ratti di grosse proporzioni.
Nonostante le ronde fossero decuplicate e più frequenti non si arrivò mai a scoprire a chi o a cosa fossero dovute quelle morti misteriose che cessarono solo quando una notte in casa del d’Avella la guardia Borbonica scovò il Conte ed il suo attendente.
Vlad III fu condannato dopo sommario processo alla fucilazione mentre Rosario fu incarcerato a vita nelle segrete della Vicaria.
Mentre il Conte veniva fucilato il drappello di fuoco lo vide sorridere. Venne tumulato da alcuni suoi seguaci dietro l’altare della chiesa cdi Santa Maria La Nova in un sepolcro con lo stemma del casato transilvano.”
 
 
 
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In realtà, dopo 30 anni, sulla soglia dei  50, Rosario fu rimesso in libertà per varie indulgenze che si era guadagnato durante la prigionia.  Si recava spesso nella chiesa dove era stato tumulato il Conte. Una sera sul vespro, mentre nella navata centrale suonava come una ninna nanna  la preghiera all’unisono delle vecchiette, lui era seduto sull’ultimo scanno quando improvvisamente vi si affiancò un uomo incappucciato come un monaco, tanto da non poterne scorgere il viso nella penombra. Costui avvicinò la sua bocca ad un suo orecchio e sussurrò:
-Povero Rosario…-
Rosario si girò ed osservò bene il viso dell’uomo sotto il cappuccio:
-Conte!!!- esclamò – Ma…ma…allora chi c’è nella tomba?-
-Nessuno…-
 
 
[1] Tommaso Aniello d'Amalfi, meglio conosciuto come Masaniello[1] (Napoli, 29 giugno 1620 – Napoli, 16 luglio 1647), fu il principale protagonista della rivolta napoletana che vide, dal 7 al 16 luglio 1647, la popolazione civile della città insorgere contro la pressione fiscale imposta dal governo vicereale spagnolo.
[2] Napoli mi incantò.
[3] Il culto dei morti a Napoli è una pratica del tutto particolare
[4] “Dracula di Bram Socker”.
[5] λ?η per i Greci, Aloë per i Latini; le «officine» (i laboratori per la preparazione dei medicinali) hanno mantenuto l'antica denominazione. I tedeschi, privi di una particolare terminologia, lo chiamano Aloë al pari dei Latini. Alcuni, per le sue foglie grasse e per la somiglianza con il Semprevivo, lo chiamano «Semprevivo marino».
[6] Soldati della Santa Fede.
[7] La bandiera dei Lazzari.
[8] In dialetto napoletano  fratelli.
 

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