La fragranza non compare sulle pelli vecchie. Non più
preciso il volto a giorno, né adattabile
quando occorre un sorriso.
Gli abiti da quel lato non fanno vedere altra roba
come il coraggio di andare fino in fondo. Le pieghe,
smessa l’acqua, si stiracchiano nel flusso del ferro,
racimolano attenzioni per scomparire come, parlando
col cuore, so fare anch’io.
C’è in questo un certo impegno: mantenere una forma,
stivare l’ingombro, una pila di panni esaurita al braccio teso.
Sempre lo stesso, non per chi è più alto di me. Fosse torre,
direbbe ora mi abbatto su te. Ma pende, la leggera condanna
da uomo, che pesa sugli dei vivi finché noi viviamo.
Sollevate le palpebre, ridono gli occhi quasi rimossi
dal televisore. È ancora una trincea il libro e mi colpisce
tra io che scrive e me che legge, entrambi mirano al centro
del tronco e colgono qui, dove il vuoto s’impunta.
Un pensiero alla finestra stride quanto una rivista e lei appare
fino al colpo di sonno del piagnone.
La tregua è talmente ligia al suo dovere di cristallo
che va in frantumi se apri bocca. Io parlo, parlo, parlo,
tocco più parole che posso, una lingua da scrivania d’angolo.
Senza tregua attraverso i vetri e quel che resta esterno
è più fragrante dentro.
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