Scritto da © voceperduta - Lun, 26/10/2015 - 15:52
Sua moglie mi aprì con un savoir-faire pittoresco;
«Lei sarebbe quello che consegna il pesce?»
«A dire il vero, signora, sono qui per l'intervista».
«Ah, che linguaccia! 'U pipituni sta 'ddà, ora glielo chiamo».
Entrai nell'anticamera, sorvegliato a vista da alcuni busti che mi ricordavano Dante e le tre fiere.
«Sta arrivando. Gli porto un nocino, 'na cedrata?»
«No, signora, sono a posto».
Al giornale erano stati brevi e supponenti; «Pierangelo, devi correre dal Poeta. Ti rilascerà un'intervista estemporanea. Per cui, fallo parlare...».
Ci misi poco a intendere che, in realtà, il Poeta aveva mandato un emissario al nostro redattore con un cofanetto sigillato e una busta senza firma.
«Be', sei ancora qui? Vuoi la correzione di un calcio nel sedere?»
Mi accomodai su una poltrona veneziana, circondato da chincaglierie di vario genere; una targa, soprattutto, aveva assimilato la mia attenzione.
“ All'Esimio e Imponente Poeta, Schiaffitti Adelmo. Per la sua lirica prodigiosa, dal titolo Qui sorggono due mari . Il presidente della giuria, nonché amico, Ernesto Sarnone.”
Considerai la svista ortografica come un errore di trascrizione. Tuttavia, stranamente, i successivi riconoscimenti erano zeppi di strafalcioni.
“Tributo al Poeta S.A., per la poesia Terore di Maggio”. “Segnalazione e pubblicazione antologica, con la lirica Hai miei fratelli, Rocco e Orestino”.
Piombai senza nerbo sulla sedia, rivolgendomi al busto di Dante con cagionevole sguardo.
«Oh! Oh! Oh! Chi abbiamo qui? Il ragazzo per l'intervista! Adesso te la concedo...ma prima devo aggiornare il mio stato...».
Lo vidi mentre tamburellava sul suo notebook, aspettando la notifica di un buongiorno.
«Tu ce l'hai Féis?»
Cercai di persuaderlo a iniziare quanto prima l'intervista.
«Si, mio caro, ma prima voglio che leggi questa. L'ho scritta poc'anzi mentre contemplavo il lavandino».
NIPOTI
Vi o tolto gl'abiti
pulito le mascielle,
riggettato i pannolini nel lavabbo,
e' pure non vi conosco.
Vi amo, si, ma non vi conosco.
Tornate a casa tardi, la mamma
sin dispone, non cena, vi
cerca e mi cerca, alchè io le dico;
“Tranquilla, Susi, non stare in
pena”.
Avevo sufficienti elementi per completare da solo l'articolo. «Come? Non ti serve una foto per la prima colonna?», mi domandò lui, facendomi intuire che in caso avessi detto di no, avrebbe chiamato direttamente il redattore.
«Ma si, certo, si metta vicino al busto della lupa».
Lo salutai dopo un'ora cercando di forzare la maniglia d'uscita.
«Eh, ggiuvinottu! Tante cose belle! Mi raccomando la pagina, doppia, i caratteri larghi cussì li legge pure mia moglie...».
Mi avviai sul marciapiede trafelato, udendo lamentele provenire dalla villetta in questione.
Gli schiamazzi sembravano indirizzati verso la donna, la quale reagì vendicandosi con parole come “cristianu mozzu”, “sorciu di mari”, “tamarru izzatu”.
Avanzai fino a una flotta di gelsomini, quando sentii rompersi un vetro sopra di me; la testa di Dante si schiantò in silenzio, senza voltarsi, senza colpe.
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