Scritto da © Hjeronimus - Mer, 15/07/2015 - 08:40
Questa sventurata, fatale èra, iniziata all’alba del nuovo millennio, si espone con “strisce analoghe” ripetitive di altri Zeitgeist, affini, nella loro fase pre-critica, al nostro universo vetrificato, che sta per esplodere. Una di queste strisce psicopatiche, e quella più diffusa, non coincide, come si potrebbe facilmente dedurre, col fanatismo sfociante nell’estremismo sanguinario.
C’è, sembra di capire che c’è una striscia ancora più originaria, da cui quell’atroce giubilo squartatore trae alimento. E Freud aveva ben dovuto evocare dall’abisso subcosciente lo spettro della pulsione di morte, per rendersela spiegabile, traducibile, razionalizzabile. Ebbene, questa ipostasi, questo tragico sedimento nella geologia storico-psichica dell’animo umano, sempre nell’atto di riemergere a sbaragliare gli ordini divini o civili dell’essere, è l’impazienza. Ecco, è questo il segno dei tempi che viviamo e che ci riempie di sgomento, perché non sappiamo più cosa opporre all’impazienza, non sappiamo come ridurre al codice della razionalità, come piegare al rigore logico-sistematico, ciò che si caratterizza proprio per sciattezza, disordine e rivolta verso la ragione. Ecco cos’è: dopo un po’ che gli esseri umani se ne sono restati calmi evitando gli orrori di cui li sappiamo capaci, ecco che subentra una specie di stanchezza di questo “troppo” uso del discernimento. Come se la ruota della ragione si inceppasse e diventasse, come dire?, “noioso” cercare di ripararla. No, non si vuole più riparare i danni eventuali, l’usura dell’uso della macchina della logica. No. Chi ha torto, non gliene cale un accidente. Chi ha sbagliato, non conta. Conta solo il soggetto che non trova l’oggetto… Se per esempio è un uomo che vuole una certa donna, non si cura minimamente di alcunché: l’acchiappa, se riesce, altrimenti usa la forza e se non va ancora, l’ammazza… Uno ti frega il parcheggio privato? Niente, lo si abbatte come un capo di bestiame. Un tizio, ieri l’altro, ne ha ammazzati quattro. Quattro innocenti contro un parcheggio libero: si può intendere dove siamo, in che razza di millennio ci siamo infilati?
Così, mentre le democrazie occidentali discutono di economia, le masse, sotto di loro, ribollono di frenesie infernali e vorrebbero distruggere, scannare, fare a pezzi. L’intelligenza sembra stanca, estenuata e la gente appare preda di estasi ferine, antirazionali, rinunciatarie allo status umano. Giovani psicotici stanchi del cliché quotidiano, si convertono alla pura ferocia, confondendola con dèi improbabili ed elementari. Scambiano la sete di sangue e di vendetta con qualcosa di legittimo e addirittura divino, onde munirsi di una moralissima licenza di uccidere e fare ciò che vogliono davvero: squartare, ammazzare, vendicarsi. Vendicarsi di che? Niente, non c’è bisogno di una spiegazione Da gibt’s kein Warum! Nessuna logica. Il verbo è annientare. I desideri di costoro somigliano alla famosa poesia di Benn: ridurre in poltiglia i corpi e poi gettare, maschi e femmine, in un secchio comune, affinché essi generino l’ultima volta, dai resti accozzati delle loro povere membra, un solo fango umano.
E perché dannarsi poi tanto? Carne alla carne e fango al fango. Torneremo a ciò che non pare proprio che abbiam mai smesso di essere. Solo, magari, un po’ più in fretta.
C’è, sembra di capire che c’è una striscia ancora più originaria, da cui quell’atroce giubilo squartatore trae alimento. E Freud aveva ben dovuto evocare dall’abisso subcosciente lo spettro della pulsione di morte, per rendersela spiegabile, traducibile, razionalizzabile. Ebbene, questa ipostasi, questo tragico sedimento nella geologia storico-psichica dell’animo umano, sempre nell’atto di riemergere a sbaragliare gli ordini divini o civili dell’essere, è l’impazienza. Ecco, è questo il segno dei tempi che viviamo e che ci riempie di sgomento, perché non sappiamo più cosa opporre all’impazienza, non sappiamo come ridurre al codice della razionalità, come piegare al rigore logico-sistematico, ciò che si caratterizza proprio per sciattezza, disordine e rivolta verso la ragione. Ecco cos’è: dopo un po’ che gli esseri umani se ne sono restati calmi evitando gli orrori di cui li sappiamo capaci, ecco che subentra una specie di stanchezza di questo “troppo” uso del discernimento. Come se la ruota della ragione si inceppasse e diventasse, come dire?, “noioso” cercare di ripararla. No, non si vuole più riparare i danni eventuali, l’usura dell’uso della macchina della logica. No. Chi ha torto, non gliene cale un accidente. Chi ha sbagliato, non conta. Conta solo il soggetto che non trova l’oggetto… Se per esempio è un uomo che vuole una certa donna, non si cura minimamente di alcunché: l’acchiappa, se riesce, altrimenti usa la forza e se non va ancora, l’ammazza… Uno ti frega il parcheggio privato? Niente, lo si abbatte come un capo di bestiame. Un tizio, ieri l’altro, ne ha ammazzati quattro. Quattro innocenti contro un parcheggio libero: si può intendere dove siamo, in che razza di millennio ci siamo infilati?
Così, mentre le democrazie occidentali discutono di economia, le masse, sotto di loro, ribollono di frenesie infernali e vorrebbero distruggere, scannare, fare a pezzi. L’intelligenza sembra stanca, estenuata e la gente appare preda di estasi ferine, antirazionali, rinunciatarie allo status umano. Giovani psicotici stanchi del cliché quotidiano, si convertono alla pura ferocia, confondendola con dèi improbabili ed elementari. Scambiano la sete di sangue e di vendetta con qualcosa di legittimo e addirittura divino, onde munirsi di una moralissima licenza di uccidere e fare ciò che vogliono davvero: squartare, ammazzare, vendicarsi. Vendicarsi di che? Niente, non c’è bisogno di una spiegazione Da gibt’s kein Warum! Nessuna logica. Il verbo è annientare. I desideri di costoro somigliano alla famosa poesia di Benn: ridurre in poltiglia i corpi e poi gettare, maschi e femmine, in un secchio comune, affinché essi generino l’ultima volta, dai resti accozzati delle loro povere membra, un solo fango umano.
E perché dannarsi poi tanto? Carne alla carne e fango al fango. Torneremo a ciò che non pare proprio che abbiam mai smesso di essere. Solo, magari, un po’ più in fretta.
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