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i ripetenti

Nell'atto di aprire il registro, il professore si arrampicò con la testa e disse beffardo: mi par di conoscervi! Il primo giorno di scuola del nuovo anno scolastico venne naturale sedersi nello stesso banco: l'ultimo di una delle tre file in cui era disposta l'aula. Michele e Marco erano due ripetenti: Michele pagava lo scarso impegno, Marco la sua esuberanza comportamentale. Infatti, alla misurata provocazione del professore, Marco rispose prontamente con un “ahimè”. Il professore affondò ulteriormente -Hai detto bene perchè chi è causa del suo mal....-. Michele rimase estraneo e continuò a scarabocchiare sul diario. Poi il copione filò liscio ed usuale: le domande sulle scuole di provenienza, l'andamento delle vacanze, la bidella con gli orari delle materie del giorno successivo e la campanella a concludere quel primo giorno di scuola.
 
Michele e Marco erano assai diversi. Michele era abulico ed impermeabile, viveva in casa con la madre separata dal padre; non riconosceva nessuna autorità e si poneva al cospetto della vita con sonnolenza. Marco era anfetaminico, viziato e spavaldo; ultimo figlio di una famiglia agiata, madre accasata nel salone del parrucchiere, padre chirurgo. Ripetevano la prima classe del liceo scientifico “Enrico Fermi”. L'anno precedente, sebbene inquilini della stessa classe, non avevano legato più tanto, anzi, quasi si erano ignorati conducendo vite parallele. Questa convivenza dettata dalla sorte aveva i caratteri di una sfida. Una sfida non solo interna ma anche rivolta all'istituto scuola: rivendicare il loro status di ripetenti per mostrarne i suoi effetti collaterali.
 
Nei giorni successivi si prestarono a soddisfare le curiosità e le preoccupazioni dei nuovi compagni di classe. -Don't worry- rispondeva Michele senza alzare la testa dal diario, continuando coi suoi scarabocchi. Marco, invece, registrava una posizione a lui sconosciuta: quella del fratello maggiore. Si sentiva spiazzato da questo ruolo improvviso che lo costringeva a diventare “grande”. Fece del suo meglio mitigandosi anche per la presenza di belle compagne per cui aveva iniziato a mostrare interesse. La convivenza nel banco sembrava tenere con qualche malumore di Michele che troppo spesso si sentiva strattonato da Marco.
 
Le lezioni entrarono nel vivo dopo un breve rodaggio durato circa una settimana. Michele e Marco guardavano un film già visto, per loro, perlopiù, si trattava di ricordare. Michele, per quanto chino sul diario, riusciva ad anticipare le parole che avrebbero usato i professori. Figurarsi Marco che le cose le sapeva anche l'anno prima, combatteva tutto il tempo con la tentazione di andarsene in bagno, che era stata una concausa della sua bocciatura. Per loro le lezioni erano una passeggiata noiosa. Fino a che non arrivò la prima assemblea di classe. Marco venne eletto a gran voce rappresentante insieme all'unica compagna candidata per via delle quote rosa. Dei due, Marco fu nominato, inoltre, portavoce delle istanze della classe presso i docenti, mentre la compagna lanciò l'idea di un giornalino di classe avendone avuto esperienza l'anno prima. Così deliberò la classe.
 
All'uscita di scuola, Marco fece un lungo tratto di strada insieme alla co-eletta rappresentante di classe. Voleva capire come funzionasse un giornalino e quali fossero i temi da trattare. La spremette come un limone, sollecitato da un crescente interesse. Quando furono ai saluti, l'interesse era diventato entusiasmo e la strada del ritorno a casa sembrava un ingorgo di idee. Finito di pranzare, tirò su la cornetta di casa e chiamò Michele chiedendo di potergli far visita. Aveva pensato a lui come redattore o quantomeno disegnatore del giornalino. -Non se ne parla proprio!- reagì Michele a quella investitura mentre era sul divano, tuta e comandi della play-station in mano. Una doccia fredda per chiunque tranne che per Marco, abituato ad ottenere qualsiasi cosa con tenacia. Si sedette a fianco sul divano e diede una lezione di play-station a Michele.
 
Il giorno successivo, il banco non registrò alcun mutamento se non una intima ammirazione di Michele per l'abilità di Marco alla play-station. Marco, invece, era concentrato e determinato. Quando fu il tempo della ricreazione, prese a far valere il suo ruolo di rappresentante chiedendo attenzione alla classe. Si avvicinò alla compagna e insieme presentarono l'idea del giornalino. Beninteso che chiunque poteva partecipare col proprio contributo di idee ed articoli, si rendeva necessaria la costituzione di una piccola redazione, almeno quattro elementi, che ne portasse avanti il discorso con motivazione. La classe rispose tiepidamente con una sola compagna a proporsi. Poi un lungo silenzio rotto dalla voce di Michele che si rese disponibile ad occuparsi degli scarabocchi. Marco non stava nella pelle e faticò a non far trasparire la gioia. Rimaneva solo il titolo del giornalino e furono messe ai voti due possibilità. Uno era “La versione” suggerito dalla co-rappresentante e l'altro era “La classe felice” indicata da Marco. Vinse “La classe felice”.
 
Fissata una scadenza per l'uscita del primo numero, non rimaneva che chiedere udienza alla preside perchè supportasse logisticamente il loro progetto. La preside si riempì di stupore: poche e rare erano state le richieste venire dal basso. Vide di buon grado quella loro iniziativa e mise a disposizione quanto in possesso della scuola raccomandandosi, però, di non sottrarre tempo allo studio. Marco incassò un buono di energia che lo portò a sollevare la compagna co-rappresentante mentre facevano il corridoio del ritorno in classe. “La classe felice” muoveva i primi passi con il lasciapassare della preside. Ora bisognava tener fede alle promesse e non tradire le aspettative.
 
Michele, per la verità, sperava in un responso negativo e, alla notizia, pensò che la frittata era fatta. Forse perchè non si sentiva all'altezza, un po' perchè la riteneva una seccatura indotta, appena poteva, durante la ricreazione o nell'avvicendamento dei docenti, si muoveva tra i banchi della classe. Aveva pensato di associare un disegno od una vignetta ad ogni articolo rispettando il tema trattato. Quindi sollecitava la consegna dell'elaborato rivolgendosi ai compagni come Gesù a Giuda: -quello che devi, fallo subito!- sembrava dire. Una condizione, certo fastidiosa, ma che gli faceva solo bene. Muoversi dal suo banco e dal suo diario per intrecciare relazioni, al principio finalizzate, ma che poi andarono anche oltre il giornalino. Insomma quel pachiderma di Michele si era messo in moto.
 
Fra le competenze e gli oneri di Marco non c'era solo il giornalino di classe. Aveva raccolto un po' di lamentele fra i compagni, quasi tutte legate alla velocità delle spiegazioni dei docenti e ad una conseguenziale difficoltà di apprendimento. Così fu chiamato, nella sua carica di portavoce, ad interloquire coi professori chiedendo loro di destinare mezz'ora settimanale alla ripetizione di argomenti segnalati dalla classe. I professori guardarono con sospetto quella richiesta soprattutto per la diffidenza verso il richiedente, ma alla fine non se la sentirono di denegare. Parallelamente a Marco venne l'idea di istituire un'ora di mutuo soccorso fra i compagni da svolgersi fuori dalla scuola, presso le proprie abitazioni. Fece un elenco con le disponibilità e lo incrociò con le materie specificate. La cosa partì subito e nemmeno tanto in sordina.
 
I bisognosi si recavano a casa di chi ne sapeva di più. Chi ne sapeva di più in una materia poteva difettare in un'altra e, trovare l'incastro, fu opera di ingegneria. Il risultato fu evidente nell'andamento complessivo della classe. “La classe felice” non era solo il titolo del giornalino ma stava diventando una concretezza. A beneficiare non fu solo l'andamento scolastico ma anche la stretta di relazioni umane che andò oltre la superficie. Ad esserne coinvolte furono anche le mamme che, nell'ospitare i compagni di classe dei figli, si prestavano a preparare thè e ad offrire biscotti. In molte, poi, iniziarono a legare fra loro, fermandosi a fare due chiacchiere dopo aver accompagnato i figli.
 
Intanto era iniziata la consegna degli articoli del giornalino e Michele iniziò a sottrarre tempo alla play-station. Se li portava a casa per leggerli e associarci un disegnino od una vignetta. Intimamente, a quel punto della frittata, era intenzionato a fare bella figura. Ebbe un primo momento di crisi ma poi arrivò la svolta. Laddove non riusciva con la sua matita, si avvalse dell'aiuto di internet, scaricando immagini e vignette belle e fatte. A quel punto la cosa si fece più intrigante, riprese fiducia e cominciò ad appassionarsene. Adesso era lui a far pressione su Marco perchè gli consegnasse il suo articolo, essendo rimasto l'ultimo. Marco temporeggiò fino al giorno prima che si riunisse la redazione per l'impaginazione. Glielo consegnò solo alla fine delle lezioni, sul punto di separarsi per il ritorno a casa.
 
L'incontro della redazione si tenne a casa di Michele che già deteneva tutti gli articoli. Marco arrivò con una scatola di cioccolatini e le ragazze portarono simpatia ed effervescenza. Michele aveva già fatto buona parte del lavoro e lo sottopose all'attenzione degli altri. Andarono avanti ed ognuno apportò il proprio contributo. “La classe felice” prese corpo nella soddisfazione di tutti. La bozza era pronta per essere fotocopiata. Ne calcolarono le copie considerando il numero dei compagni di classe, il numero dei professori più la preside. A quel punto Marco aprì la scatola dei cioccolatini e Michele tirò fuori dal frigo delle lattine di aranciata.
 
La mattina successiva, Michele e Marco si recarono dalla preside perchè li autorizzasse ad usare la macchina fotocopiatrice. La preside si prenotò subito per una copia e poi chiamò una bidella perchè li accompagnasse. Michele e Marco la seguirono.
-Che bel titolo hai dato al tuo articolo: “zero-ripetenti”; scrivi ancor meglio di come giochi alla play-station-
-Grazie ma anche tu sei stato brillante, gli hai associato la locandina del film “Non uno di meno”-
-Mi piace quando dici che senza i ripetenti non ci sarebbe stata la teoria della relatività-
-Perchè, non è vero?-
-Ti dirò di più, senza i ripetenti non ci sarebbe stata la storia-. 

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