Dopo tre giorni puzza (capitolo 1) | Prosa e racconti | Pest Writer | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Dopo tre giorni puzza (capitolo 1)

Bene, pare che non si sia arrabbiato nessuno. Quindi... oso ancora.
In realtà, avevo pensato di lasciar perdere: nessuno aveva protestato, è vero, ma nessuno aveva neppure espresso alcuna opinione sul mio scritto. Totalmente ignorato, pareva. Deprimente. Il che sembrava rendere superfluo insistere.
Poi è arrivata Vera, su oggiscrivo.it. Con la sua simpatia, il suo affetto, la sua cordialità... prima che scoprisse con orrore che sono un attempato ed austero ingegnere. Tutto risolto, comunque. Ma il suo commento, pieno di inestimabili quanto ormai inattesi apprezzamenti, mi ha infuso coraggio, e convinto a provarci ancora, magari per l'ultima volta. Così ecco il primo capitolo del mio romanzo "Ospiti". Non è proprio brevissimo, ma, parafrasando Manfredi, la lettura è un piacere, se non è lunga che piacere è?
È una fantascienza vecchio stile, un po’ ingenua, della prima metà del secolo scorso. Quella che amo di più, tipo ometti verdi che invadono la Terra o scienziati che costruiscono un'astronave in cantina con le lattine di birra. Niente di serio o impegnato, senza messaggi o insegnamenti morali. Giusto una proposta per passare qualche ora in maniera spero divertente e piacevole. L'esatto contrario degli articoli con cui mi sono presentato finora in questi lidi.
Se poi qualcuno fosse interessato a qualche informazione in più, come per esempio dove trovarlo, o come è nato ed il perché di questa diversità di titoli, potrà trovarla all'indirizzo "http://blog54.altervista.org/dopo-tre-giorni-puzza/".
 
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1. Primo contatto
Probabilmente, il primo contatto fu quella sera.
Già, una bella serata di febbraio, calda e stellata come fosse maggio.
In giro per il mondo, grandi luminari discutevano di inquinamento, effetto serra, surriscaldamento del pianeta e stravolgimenti del clima, ponendo preoccupanti interrogativi.
 Si sa, i cervelloni prendono sempre tutto per il verso sbagliato.
Raffaele Ceraso non era uno che potesse fare sfoggio di grande ingegno. Questo gli consentiva, in compenso, di affrontare la questione con la dose di superficialità necessaria per fermarsi a considerare solo gli aspetti positivi del fenomeno. E goderseli tutti. Come, ad esempio, aver modo di starsene nella sua vecchia e arrugginita Volkswagen, parcheggiata sotto un grosso albero, sul ciglio di una strada poco trafficata a trafficare sotto la gonna di Elena Mirabella, inibendo le sue legittime quanto puramente formali proteste con un bacio da Guinness dei primati. Giusto qualche mugolio, che non doveva essere per forza interpretato come una protesta contro le sue oscure (?) manovre. Solo quando le loro labbra si staccarono il giovane si irrigidì un po', attendendo il sacrosanto ceffone che si era deliberatamente meritato. Con sua grande sorpresa, la sberla non arrivò. Neanche una recriminazione (sarebbe stata di pura circostanza, lo sapeva benissimo, ma il copione lo prevedeva e lui se l'aspettava) contro la sua impudenza.
Macché, lei non lo stava nemmeno guardando!
Si era chinata in avanti ad osservare qualcosa al di sopra del tetto dell'autovettura.
- Elena?
- Cos'era?
- Come cos'era? Era un bacio a ventimila volt! E ti stavo palpando le...
- No, non quello.... - Un attimo di esitazione, poi: - quello!
Indicò con il dito qualcosa che era sopra di loro. Che si stava muovendo sopra di loro, infatti si chinò a seguirlo finché il “qualcosa” non scomparve dal campo visivo consentito dall'angusto abitacolo.
A Raffaele venne in mente il detto “la curiosità è femmina”. Miseria, macché femmina!? È asessuata, altro che femmina. Una femmina, in quel contesto, o ti prende a sberle, se non è d'accordo, o ti salta addosso e te lo leva dalle brache lei stessa. Non corre dietro gli uccellini che svolazzano nell'aria primaverile di una degenerata sera di febbraio!
- Là, ancora... un altro - continuò lei, ignorando il burrascoso avvilimento che stava stravolgendo l'equilibrio ormonale del suo boy-friend. - Cosa saranno?
Il ragazzo obbedì, rassegnato, sperando che, una volta accontentata, gli fosse possibile tornare ad occuparsi di faccende più terrene e meno contemplative. Spiò oltre il parabrezza. Restò sorpreso anche lui nel veder passare, sopra di loro, ad un'altezza impossibile da determinare, un puntino luminoso delle dimensioni di una stella di prima grandezza, circondato da un alone di luce bluastra grande, grosso modo, quanto una pallina da golf.
Il misterioso oggetto apparve fra i rami dell'albero, li superò spostandosi in linea retta, e scomparve sopra di loro, nascosto dal tetto della macchina.
- Hai visto anche tu? - chiese Elena, ansiosa. - Secondo te cosa... oh, eccone un altro!
Il nuovo punto luminoso solcò il cielo sopra le loro teste, seguendo lo stesso itinerario del precedente. Di tutti i precedenti.
Incuriosito, Raffaele aprì lo sportello e scese dalla vettura. Elena lo imitò. Entrambi, naso all'aria, videro comparire la nuova luce bluastra che, passando oltre i rami dell'antica quercia che li sovrastava, attraversava il cielo e scompariva al di là della collina di fronte.
Si spostarono a centro strada per non avere ostacoli nel loro campo visivo, e attesero il successivo transito. All'incirca cinque, sei secondi. Poi, comparendo dal nulla, sullo sfondo di una splendida e limpida volta stellata, si materializzò il nuovo puntino.
Indistinguibile dalle stelle che lo circondavano, all'inizio l'oggetto si segnalò come una sensazione di movimento, impossibile da individuare se non si fosse già guardato nella direzione giusta. In apparenza, una minuscola stella che si metteva in moto, prima acquistando velocemente luminosità, poi rivestendosi di un alone bluastro, sempre più denso e meglio definito man mano che si muoveva verso ovest, e proseguiva il suo viaggio oltre la collina.
- Cosa sono, meteoriti? - chiese Raffaele, attingendo a piene mani al suo immenso bagaglio culturale. Peccato che il campo in cui era maggiormente ferrato fosse quello di calcio.
- Non credo - rispose la ragazza - durano troppo… e si muovono troppo lentamente.
 - E che diavolo possono essere, allora? Dischi volanti?
- Non dire stupidaggini - ribatté ancora lei, ma non molto convinta. Non pensava che potessero essere astronavi aliene. Ma soprattutto aveva una paura matta di credere che fossero proprio quelle.
- Sai… ho come l'impressione… che non siano ad alta quota.
Elena lo guardò stupita. “Alta quota”. Non immaginava che il suo ragazzo fosse in grado di usare termini del genere. Ma, da brava secchiona, ignorava quanta roba si potesse imparare davanti ad un buon film, o un videogioco, anziché chini sui libri. - Sì, ho avuto anch'io la stessa sensazione. E si ingrandiscono man mano che avanzano.
Si scambiarono una specie di occhiata d'intesa, poi dissero all'unisono: - Stanno atterrando!
Un altro punto luminoso comparve nel cielo alla loro destra. Percorse tranquillamente per intero la fetta di volta celeste che avevano modo di vedere, aumentando di intensità e di dimensioni, avvolto nelle solite radiazioni bluastre, e sparì oltre l'altura alla sinistra dei due osservatori.
- Se giriamo attorno alla collina forse possiamo vedere fin dove arrivano - suggerì Elena.
Raffaele ci pensò su qualche istante. I suoi programmi, per quella sera, non contemplavano il dare la caccia ai marziani. Caccia sì, ma non ai marziani! Dubitò, però, che la sua ragazza gli avrebbe dedicato le attenzioni cui aveva diritto se prima non ne avessero saputo di più su quelle misteriose lucette volanti. D'altro canto, se l'avesse aiutata ad appagare le sue curiosità, avrebbe potuto dirottare l'eccitazione che stava provando ora per lo strano avvistamento verso obiettivi più allettanti. E, infine, sarebbe piaciuto un po' anche a lui sapere qualcosa di più sul fenomeno. Così annuì, e le fece segno di rimontare in auto.
La vecchia utilitaria partì con un borbottio asfittico, abbandonando il modesto rifugio sotto la quercia, e divorò con soddisfacente solerzia la strada necessaria per girare attorno alla collina, quel tanto che bastava per aumentare adeguatamente la visuale.
Si arrestò di nuovo accanto all'imbocco di una stradina in terra battuta, proprio mentre un'altra di quelle luci bluastre oltrepassava la sommità dell'altura, confermando l'impressione che i due giovani avevano avuto prima: si abbassò, per gradi, sullo sfondo delle montagne lontane, dimostrando che effettivamente la sua quota era poco elevata, e calò fino a scomparire dietro un'antica costruzione a meno di un chilometro di distanza. Una decrepita casa colonica che, pareva, si raggiungeva proprio con il viottolo accanto al quale si erano fermati.
- Stanno atterrando davvero - bisbigliò Elena, quasi temesse che potessero sentirla. Nella sua voce, uno straordinario miscuglio di paura ed euforia.
- È la vecchia casa Vitali. Il casolare abbandonato di Geremia Vitali - mormorò Raffaele, pensieroso.
E un tantino più preoccupato, adesso.
Quella costruzione era disabitata da almeno quindici anni. Da quando, cioè, il vecchio Geremia fece fuori a colpi di ascia moglie e figlia appena ventenne, e si tolse la vita impiccandosi ad una trave del soffitto. Nessuno seppe mai il perché di quella tragedia. Qualcuno suggerì che il buon fattore avesse beccato moglie e figlia in atteggiamenti inequivocabili con il vicino (vedovo) ed il di lui figlio, e avesse preso la cosa poco sportivamente. D'altra parte, si disse, parlare di “atteggiamenti inequivocabili” significava sminuire, e di molto, lo spettacolo che il pover uomo aveva trovato a casa dopo un anticipato rientro per una fiera del bestiame andata a monte. I due vicini, comunque, avevano sempre negato il fatto, definendolo un cumulo di assurde ed ingiustificate illazioni. Qualcun altro aveva parlato di un male incurabile che avrebbe condannato l'uomo, che per questo aveva pensato bene di non abbandonare le due povere donne ad un destino di solitudine e indigenza. Altri, infine, mormorarono di oscuri riti satanici e patti con il diavolo, sfociati in quella mattanza.
Comunque fosse andata, in quell'abitazione c'erano state morti violente, e questo bastava a farne una casa maledetta, oggetto di lugubri leggende e credenze inverosimili.
Tutto questo portò Raffaele a formulare una nuova ipotesi sulla natura di quelle luci, qualcosa di molto peggio di un'invasione extraterrestre. - Bene, io ne ho abbastanza. Torniamo ad occuparci dei fatti nostri?
- Di' la verità: hai paura - lo punzecchiò lei. Elena era un tipo razionale, e, mentre non escludeva la possibilità di vita extraterrestre, statisticamente più che plausibile, e quindi di un eventuale contatto, rideva di certe superstiziose credenze popolari. Vedere il suo ragazzo tremare a quel pensiero la divertiva, e le offriva una piccola rivincita: dei due, lei era quella debole, anche se intelligente - a scuola prima, all'università ora, prendeva il massimo dei voti in tutte le materie - mentre Raffaele, non potendo vantare un cervello particolarmente dotato, basava la sua superiorità sui muscoli e, di conseguenza, sul coraggio. Ora era lui a tremare, per quanto lei stessa non fosse del tutto tranquilla. Per lei, più che di paura si trattava però di eccitazione, una folle eccitazione, davanti all'idea di stare vivendo, forse, un evento sognato e temuto per secoli dal genere umano: un incontro con una intelligenza aliena… purché non fosse un ragazzino, nascosto da qualche parte, che giocherellava con una di quelle pilette laser che vendono i cinesi nelle loro bancarelle… anche se, finora, le aveva viste sempre di colore rosso, mai blu.
- Non ho paura - protestò lui con una voce tutt'altro che ferma. - Solo, non venirmi a dire che tutto questo ti sembra normale.
Elena rispose con una risatina soffocata.
- Andiamo a vedere di che si tratta - decise allora il ragazzo. Non poteva permettere che quella storia minasse il suo prestigio e la sua immagine di “macho”.
Rimontarono in auto, e percorsero una buona fetta del chilometro che li separava dalla costruzione. Prudentemente, lasciarono il Maggiolino ad una trentina di metri, già girato per un'eventuale, precipitosa fuga, e con le portiere aperte, tanto quella vecchia carretta sarebbe stata al sicuro nel parcheggio di un centro commerciale, figuriamoci nella landa solitaria in cui erano finiti.
Le luci continuavano ad arrivare, e a scendere oltre l’antico casolare.
Era un vetusto edificio in muratura, a due piani, sormontato da un tetto ripido, interrotto qua e là da alcuni abbaini, abbastanza alto da offrire in pratica un terzo piano comodamente agibile. L'intonaco era scrostato in diversi punti, e tracce di umidità macchiavano i muri nelle facciate più esposte alle intemperie. Nonostante l'evidente abbandono, aveva comunque un aspetto solido e rassicurante, cosa che, aggiunta alla superstiziosa credenza di cui era oggetto, che ne aveva abbattuto il prezzo di vendita, ne avrebbe fatto un ottimo affare… se si fosse trovato qualcuno abbastanza temerario da decidere di andarci a vivere.
I due ragazzi si scambiarono uno sguardo un po' di intesa, un po' di incoraggiamento, e si avviarono verso la costruzione seguendo uno stretto viottolo alla luce della luna.
Giunti a destinazione, scivolarono in silenzio rasenti il muro, trattenendo quasi il respiro, e notando solo allora, per la prima volta, un altro particolare: quel misterioso atterraggio avveniva in perfetto silenzio. Neanche un sibilo, o uno di quei suoni fluttuanti che, nei film, accompagnano gli arrivi dei dischi volanti. O quei terribili mormorii di anime perdute nelle pellicole horror. E questo imponeva ai due di procedere in maniera altrettanto silenziosa, per non correre il rischio di essere scoperti… se dietro l'angolo ci fosse stato qualcuno, o qualcosa, che potesse scoprirli.
Finalmente, dato un profondo respiro, Raffaele si arrischiò a spiare oltre lo spigolo di muro, nel momento in cui un altro puntino luminoso superava il tetto dell'abitazione e scendeva verso terra. Questo consentì al ragazzo di individuare subito l'oggetto che giaceva nell'erba, a pochi metri dalla casa, in una zona d'ombra. Un affare dalla forma indefinibile, specie se visto ad un tenue chiarore bluastro per un secondo o due, e delle dimensioni, ad occhio e croce, di una cassa di birra.
- Atterrano nel prato - sussurrò alla ragazza. - Su un affare che è per terra.
- C'è qualcuno? - chiese lei.
- No, pare che non ci sia un'anima. Mi è sembrato… come se finissero in un recipiente. Quando arrivano sul coso che è a terra, scendono giù lentamente come se si infilassero nel collo di una bottiglia. Anche il loro chiarore cambia… poi si spegne.
- Guarda, ne arriva un altro!
Stavolta spiò anche lei. Entrambi seguirono con lo sguardo il tragitto del punto luminoso. Lo osservarono scendere, nella chiazza d'ombra creata dalla casa contro i raggi della luna, rallentare fino a circa mezzo metro dal suolo, scivolare oscillando a velocità ancora più ridotta verso il basso, e poi spegnersi, o finire nascosto da un corpo opaco (dall'erba, o da un recipiente?). Qualcosa brillò per un istante a pochi centimetri dal punto luminoso, dello stesso genere di luce, come se lo avesse riflettuto. Cos'era, uno specchio?
- Credo… che possiamo andare via - mormorò Elena a quel punto. Lo spettacolo cui stavano assistendo non era normale. Niente di mai visto, o sentito raccontare da qualcuno. Poteva veramente essere un contatto con civiltà aliene, se aveva origini non umane… e se, invece, era qualcosa prodotto dall'uomo, aveva visto abbastanza film anche lei per capire che, a maggior ragione, era meglio restarne alla larga.
La preoccupazione nella voce della sua ragazza ringalluzzì Raffaele. Era il momento di prendersi una rivincita. Non aveva gradito la mancanza di rispetto di Elena nei suoi confronti, poco prima, quando gli aveva rinfacciato di aver paura per la leggenda dei Vitali. Ed era abbastanza poco intelligente da non capire che, se ora era lei ad essere intimorita, un motivo doveva esserci.
E che doveva trattarsi di un buon motivo.
- Prima voglio dare un'occhiata da vicino - bisbigliò risoluto.
- Stai scherzando, vero?
Raffaele non stava scherzando, e lo dimostrò. Si staccò dal muro e prese ad avvicinarsi al misterioso oggetto che giaceva nell'erba.
- Raffaele! - lo richiamò lei, urlando quasi, preoccupata. Quel testone doveva sempre e per forza dimostrare qualcosa, e non capiva mai quando era il momento di lasciar perdere.
Il ragazzo continuò ad avanzare senza darle retta, ed era solo a due - tre metri di distanza dall'oggetto quando un'altra luce si affacciò oltre il tetto della casa e calò decisamente verso il suolo.
Stavolta vide meglio.
Si abbassò, piegando le ginocchia, restando prudenzialmente nella zona illuminata dalla luna, e distinse anche la forma dell'oggetto, al chiarore prodotto dal nuovo puntino appena arrivato.
Un esaltante sentimento di orgoglio, subito cancellato da un'orribile angoscia.
Dapprima, fu solo una vaga sensazione. Di un fruscio, pressoché impercettibile, dietro di lui. Poi, in un batter di ciglio, l'ombra di qualcosa che lo sovrastava, ricoprendo la sua. L'ombra di qualcuno, sopraggiunto alle sue spalle, rapido e silenzioso!
Con un tuffo al cuore, si rizzò di scatto e si girò, pronto a sferrare un pugno.
Elena urlò, terrorizzata.
Lui fece altrettanto.
- Elena!
- Raffaele… che ti prende?
- Come che mi prende… ti sembra il modo di venirmi alle spalle? Mi hai fatto prendere un colpo.
Respirò a fondo, per calmarsi, poi proseguì, indicando la "cosa" nell'erba: - Guarda… somiglia a quei moduli che abbiamo mandato sulla Luna e su Marte.
Lei eseguì, e studiò l'arnese che giaceva a terra a pochi passi da loro.
Somigliava vagamente ad un grosso ragno, poggiato su otto zampe metalliche infilzate nel prato. Una scatola grande quanto una stecca di sigarette, sulla quale era posizionato una specie di alambicco con il collo a spirale rivolto verso l'alto, all'interno di una parabola di vetro poggiata su un supporto a forma di imbuto rovesciato.
Non dovettero attendere molto prima che un altro di quei punti luminosi apparisse alle loro spalle e scendesse verso l'aggeggio che avevano davanti.
Con precisione incredibile, il puntino si infilò nel collo a spirale dell'alambicco, scese giù percorrendo la serpentina trasparente, e scomparve all'interno dell'imbuto.
Tutto qui.
Apparentemente, almeno.
Il ragnetto che si mosse a terra sotto l'aggeggio, oltre ad essere troppo piccolo e scuro per essere visto, non poteva certo rappresentare una presenza inconsueta, o minacciosa, in un fazzoletto di terreno incolto accanto ad una vecchia casa di campagna.
- Andiamo via, Raffaele - implorò lei. Stranamente, era proprio quella insignificante semplicità a spaventarla, ora. Quelle luci venivano da troppo lontano per andarsi ad infilare in un tubicino di vetro per nulla. Forse, da distanze siderali. Ma se anche fossero arrivate solo dalla città vicina la cosa non sarebbe stata meno preoccupante. Nonostante i prodigi della tecnologia moderna ai quali erano abituati, la precisione con cui quella specie di scintille andavano a centrare un bersaglio così piccolo aveva, secondo lei, poco di umano. O, comunque, poco di quella tecnologia ormai alla portata dell'uomo di strada. Come minimo, si stavano occupando di affari che non erano, e non dovevano essere, loro…
Raffaele tornò a rizzarsi con un sorriso rassicurante: - Coraggio, non mi sembra niente di pericoloso.
- Ma non sappiamo cos'è… e se fosse davvero qualcosa di extraterrestre…
Raffaele ridacchiò per minimizzare le sue paure (ma era pura ostentazione, neanche lui era del tutto tranquillo, nonostante i limiti delle sue capacità intellettive), e sollevò una mano per farle una carezza.
Lei sobbalzò e si ritrasse.
- Dai… adesso che c'è?
- Sul braccio… - balbettò lei - che cos'hai?
Raffaele guardò nella direzione indicata dai suoi occhi, e sulla manica del maglioncino chiaro che indossava vide un piccolo ragno, delle dimensioni di una monetina da cinque centesimi, che si stava arrampicando verso l’incavo del gomito.
Sorrise: - È solo un ragnetto.
Con le dita dell'altra mano gli diede una spinta e lo fece volare via.
Elena non si tranquillizzò. Al contrario: - Ne hai uno anche sull'altro braccio… no, sono due… no, ancora… ce ne sono altri!
Le piccole macchie scure in movimento sul maglione del ragazzo crebbero di numero in maniera sorprendente, sulle braccia, sullo stomaco, sulle spalle.
- Che schifo! Da dove vengono? - Raffaele prese a liberarsene a manate, disgustato.
Il grido di Elena lo fece sobbalzare di nuovo: - AAHHH! DIO MIO, STANNO SALENDO ANCHE ADDOSSO A MEEEE!
Come un ribollente liquido scuro sotto i loro piedi, una marea di piccoli ragni neri si stava propagando verso l’alto lungo i pantaloni del ragazzo, e le gambe della ragazza.
Urlando di raccapriccio, anche lei prese a dimenarsi e a spazzare via con le mani quegli animaletti schifosi, che venivano però prontamente rimpiazzati da altri. Avvertì un formicolio sulla pelle sotto il suo abitino ridotto, ed evitò di pensare a cosa fosse, badando unicamente a scacciare tutti quelli che risalivano sopra il suo vestito. Il brulichio nero sbucò dalla scollatura e le si arrampicò lungo il collo, sotto i capelli. Prese a piagnucolare, atterrita, mentre anche Raffaele cominciava a schiacciare quelli che si dimenavano sotto il suo mento, lungo la sua gola, sopra le sue orecchie...
- Maledizione! Ma quanti ce ne sono? - imprecò lui, mentre Elena continuava ad urlare e a singhiozzare.
Un sussulto, e si fermò, un istante.
Anche Elena smise un attimo di gridare e contorcersi.
Poi tornarono a tirare manate sui piccoli animaletti, apparentemente con maggior successo, ora: quelli che non venivano colpiti invertivano la rotta, e stavolta il brulichio si muoveva per abbandonare al più presto i loro corpi.
Dopo pochi secondi, Raffaele ed Elena si ritrovarono liberi da qualsiasi ragno. Per quello che avevano modo di vedere, perlomeno.
Lei scoppiò in un pianto liberatorio. Lui prese a pestare nell'erba, seguendo i ragni in fuga per schiacciarne il più possibile, bofonchiando incomprensibili imprecazioni. Infine si fermò, controllò a terra nei paraggi senza più riuscire a scorgere il minimo movimento, e tornò da lei.
- Tutto bene? - le chiese, stringendole le braccia.
Lei si liberò e gli tirò una sberla. - Imbecille! Te l'avevo detto di andare via. - E, stizzita, si incamminò verso la macchina, ignorando il nuovo puntino luminoso che arrivava e correva ad infilarsi nel tubicino ritorto.
- Elena, aspetta! - le corse dietro lui, massaggiandosi la guancia colpita dallo schiaffo. - Ragiona, che c'entrano quei ragni con quello che abbiamo scoperto? Magari erano spaventati pure loro, e ci hanno aggredito per questo… forse non ci stavano nemmeno aggredendo, volevano solo scappare via da quel coso…
- Pensala come vuoi. A me interessa solo che mi riporti a casa subito.
“A casa subito”? Ecco un modo stupido di concludere una serata stupida che non era stato lui a cominciare. Se se ne fossero restati in macchina a pomiciare come da programma non sarebbe successo niente di tutto questo, ed era stata lei a rincorrere quelle lucciole, lui ne avrebbe fatto volentieri a meno.
- No, aspetta - la implorò. Non era comunque il caso di ribattere con delle recriminazioni: meglio tenersi la colpa e trovare qualcosa di positivo in quello che gli era capitato. - Non possiamo tornare a casa e far finta che non sia successo nulla. Minimo, dovremmo avvisare la polizia, anche se ho un'idea migliore.
- Per questa sera ne hai avute abbastanza, di buone idee - osservò stizzita lei.
- Dai, Elena, ragiona: sai quanto può fruttarci una storia del genere se ci rivolgiamo ai giornali? Non c'è nessuno in giro, quindi la cosa… di qualsiasi cosa si tratti, non è stata ancora scoperta. Quei puntini, probabilmente, sono visibili solo da qui, perché è dove stanno atterrando, ed è facile che nessuno abbia finora notato niente. Non dobbiamo far altro che telefonare a qualche ficcanaso della stampa, o a qualche tv… faranno a gara a chi offre di più per accaparrarsi l'esclusiva. Sono soldoni, piccola!
La afferrò per le braccia, la costrinse a fermarsi, la guardò implorante.
Lei ci pensò su, e considerò che stavolta il suo boy-friend non aveva tutti i torti… e che tanto, ormai, quei ragnacci schifosi la passeggiata su di lei se l'erano già fatta.
- Va bene - consentì sbuffando. - Allora sbrighiamoci, prima che qualcun altro ci batta sul tempo.
Alzarono decisamente il passo, montarono in auto, e Raffaele partì facendo slittare le ruote posteriori.
Ma né la polizia né la stampa seppero nulla di quelle luci, e del modulo che le ingoiava.
 

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