"Mi domando di sto passo, dove andremo a finire". Quante volte abbiamo detto o sentito questa frase? Io risponderei: "Perchè?" "Perchè cosa...?!" verrebbe da rispondermi. "Perchè dobbiamo domandarci dove andremo a finire, se ancora non è ben chiaro a tutti dove dobbiamo andare?". Allora, per capire invece dove voglio andare a finire io, con questo discorso, vi racconto una storia. Sono in piedi, fermo nel mezzo di una grande piazza, decidete voi quale non è importante, l'importante è che sia ben trafficata da tanti colorati pedoni e da tante auto alla riscossa, tutti indaffarati a fare ognuno le proprie cose. Sorridente e spensierato mi guardo attorno. Prima cosa mi accorgo di essere osservato. Non è consuetudine vedere una persona ferma che sorride, sicuramente un pazzo o quanto meno non del tutto normale. Incurante della cosa, vengo attirato dalla prima scena. Una mamma "over the top" con un culo da paura e una chioma da far morire d'invidia il miglior coiffure, strattona il figlio bruscamente che si dimena piangendo, mentre si dirigono da una parte all'altra della piazza. Li seguo con lo sguardo, non so dove stiano andando ma credo abbiano molta fretta. Le parole che sento uscire dalla bocca della mamma non sono certo gratificanti per il piccolo che, nonostante abbia sei o sette anni forse, si lascia trascinare senza probabilmente capirne il motivo. Troppo piccolo lui per capire le motivazioni della mamma o troppo indaffarata lei, per ascoltare il bambino? In attesa di trovare la mia prima risposta, vengo raccolto nel mio vagare da una scena più gradevole: due ragazzi si stanno amorevolmente baciando, due uomini. Due uomini? Questa è una scena da non perdere. Centinaia di sguardi sono su di loro, hanno attratto l'attenzione di tutti, incredibile. Nell'angolo sotto i portici, nella stessa direzione, c'è una donna sdraiata per terra ma non credo abbia avuto così tanto successo, come loro due. Saranno famosi allora, altrimenti non capisco tutto questo interesse. No, forse non è così. Una signora sta per passare loro vicino, non li ha ancora visti, sono nascosti dalla recinzione dei lavori in corso. Ecco, adesso se ne è accorta. Si allontana impaurita o forse indignata, lo capisco perchè il suo collo si ritrae a tartaruga dentro il colletto della camicia, arruffando naso e guance in senso di ribrezzo. Attorno a me sento un vociare rumoroso, sommesso e malizioso che viene rotto solo dal moralista urlatore (primate, quindi dominante e consapevole): "andate a casa vostra a fare quelle porcherie, schifosi!". L'ha gridato al vento, dirigendo il suo gesto di stizza verso di loro che incuranti continuano adesso ad abbracciarsi. Penso: hanno sbagliato a concedersi del tempo i due ragazzi o forse il moralista urlatore non ha compreso che sono due persone che si vogliono bene? Non capisco, sarei più moralista con quelli che dopo cena, escono a bere qualcosa al bar e prima di tornare a casa da moglie e figli, vanno a trovare viados e prostitute, spendendo gli ultimi 50 o 100 euro, magari proprio quelli che mancavano al figlio per comprarsi finalmente la chitarra o per partire per un week end con gli amici. E' facile giudicare per me che non ho figli o forse, che non sono gay. Beh, i due ragazzi se ne vanno, quindi lo spettacolo adesso è finito ma per fortuna ne comincia subito un altro. Oggi mi sto proprio divertendo, si vede, continuo a sorridere. Una ragazzina, perchè si vede che è una ragazzina, nonostante abbia addosso i mezzi per non sembrarlo, sta discutendo con la sua amica. Guardo l'ora e dovrebbero essere a scuola, vabbè ma chi non ha mai segato le lezioni una volta nella vita? Se le stanno raccontando di tutti i colori a proposito di un ragazzo conosciuto la sera prima. Niente di male, se non fosse per i colori e le sfumature che si librano nell'aria come un arcobaleno di emozioni noir. A quanto pare non esistono segreti per loro, nè sul sesso tanto meno sulla droga. Mi domando: sarà giusto che seghino scuola e si divertano un pochino o nei loro discorsi avverto il vuoto di una relazione familiare instabile? Sarà che mi sto fissando su un princìpio ma ho paura che qui manchi qualche valore di base. Per un attimo abbandono il mondo reale e mi avventuro nei miei soliti pensieri surreali. Esistono ragazzi e ragazze che si impegnano a studiare, forse illusi ma con degli ideali, dei valori, che sognano di realizzare qualcosa nella vita, vivendo però in un sistema paradossalmente quasi misantropo, che privilegia la superficialità, nella maggior parte delle volte con il bel aspetto, lasciando intendere alle giovani menti in crescita (magari anche quelle partite convinte di studiare), che se sei una bella figa o un pezzo di figo e appari un paio di volte nel programma giusto, cosa cazzo continua a farsi il mazzo se tanto alla fine, quel che conta sono i soldi, il potere ed una bella posizione in società? Come si può rinunciare alla vita sociale, quella fatta di aperitivi, rave, ristoranti, chat, disco, casting per i reality e trasgressione? Questa è la vita giusta, quella da sballo. Abbiamo metabolizzato una società piena di contraddizioni, che non offre concretezze, tanto meno certezze, seppur l'unica certezza, dovrebbe essere quel che possiamo fare noi per cambiare le cose, se volessimo vederle cambiate davvero. Queste certezze però, non colorano la mia piazza. I miei pensieri hanno un sottofondo cittadino, ricco di ingiurie, clacson prepotenti e apparente socialità, quella fatta da persone che vorrebbero ma non possono e di quelli che possono ma non vogliono. Tutti che corrono distratti, accompagnati per mano sull'orlo di un precipizio emotivo che alimenta la solitudine e spezza la catena dei valori, quelli che siamo in grado di percepire naturalmente ma di cui non facciamo tesoro e per assurdo, ne siamo spaventati. Giovani che diventando adulti non sapendo più come essere giovani, dentro, troppo distratti dal loro esserlo fuori. Adulti che non riconoscono più il punto di unione tra l'essere genitore ed essere "uomini" e cittadini, troppo impegnati a discutere dei problemi degli altri, non curandosi più del fatto che i giovani, stanno guardando. Ritorno alla realtà attratto dal pianto di un bimbo, molto simile a quello di una sirena. Difficile cogliere queste sfumature, dopo un viaggio cittadino di questa portata. Ho dietro di me una bambina alta poco più di un metro, con il visino completamente irrorato dalle lacrime e come unico sollievo, il ditino che tenta di stringere tra le labbra, distorte dal suo dolore. Non posso farne a meno, per cui abbandono il mio stato di immobilità, per tornare mobile. Prima di avvicinarla, mi faccio notare con il sorriso. Mentre cerco di attirare inutilmente la sua attenzione, capisco che non si potrà mai accorgere di me, finchè il suo male sarà l'unica cosa che le passerà per la testa. Dovrà essere lei che dovrà decidere di accogliermi. Per cui mi accascio davanti a lei, senza starle troppo vicino, rispettando quindi il suo spazio ed il suo dolore. Lei sta male, per cui sto male anch'io, quindi comincio a piangere. Le sirene adesso sono due. Lei però smette per un attimo, attratta da questo omone che piange come lei. Cosa strana in effetti ma lei non giudica, guarda e basta. Continuando a piangere, ne approfitto per farle subito una domanda: "perchè piangi?". "Ho perso la mamma" risponde disperata lei, tornando logicamente a piangere. "Anche io ho perso il mio angelo" dico subito. "sai che cos'è un angelo?" Lei fa sì con la testa, passando dalla fase sirena a quella singhiozzo. "Tutti abbiamo un angelo personale, sai? Tu hai il tuo ed io ho il mio. Tutti abbiamo un angelo, anche gli uccellini che volano ne hanno uno, certo più piccoli dei nostri ma ne hanno uno. Sai come si chiama il mio angelo?" Lei scuotendo la testa mi fa capire che vuole scoprirlo. Ho attratto la sua attenzione. "Il mio angelo si chiama BidiBodi" le dico facendo una smorfia con la faccia. Finalmente si placa per un momento il suo dolore, attratta dalla mia storia. "Sai che se piangi tu, piange anche il tuo angelo? Io ho sentito che piangeva il tuo perchè mi sono messo a piangere anche io e adesso sta piangendo anche il mio. Stiamo piangendo tutti insomma. Vuoi che pianga il tuo angelo ed il mio?" Continua a scuotere la testa. "Ecco, allora facciamo assieme un bel sorrisone, così finalmente ridiamo tutti e anche i nostri angeli rideranno con noi" Finalmente sorride e posso sedermi davanti a lei. Adesso posso scoprire dove ha perso la mamma e prendendola per mano cominciamo a camminare assieme, continuando a raccontargli la storia del mio angelo, fino a quando incontriamo la sua mamma, che finalmente la accoglie tra le sue braccia, per la gioia della bimba. Evitiamo i commenti della signora nei miei riguardi, convinta fossi un depravato. Lascio la solitudine delle sue parole perdersi nell'aria, sorrido alla bimba che mi asseconda e ritorno ai miei pensieri, come sempre, prima di riprendere la mia ricerca tra i cesti dell'immondizia. Sì, in tutta questa storia sono solo un barbone, vivo per strada. Non sono laureato, non guadagno tanto ma ho una grande famiglia, la strada. Una vita come tante, una vita come tutte. Una vita semplice, fatta di gesti semplici, quei gesti che la gente ha perso, quelle attenzioni che non hanno più importanza, perchè conta più essere famosi piuttosto che sentirsi importanti per qualcuno. Io ero ricco della mia solitudine e abbandonato al bisogno di avere. Ho sbagliato e la mia condanna è stata quella di vagare tra il male di vivere della gente, per ritrovare invece qui, la ricchezza del mio bisogno. Non tutti accettano la mia condizione, seppur io rispetti quella di tutti, non facendomi condizionare dalle scelte degli altri. Sono felice, tutto qui. Ogni giorno basterebbe un sorriso, avere sempre una storia da raccontare, un cuore aperto e disponibile, per capire davvero chi ci è vicino in quel momento e tanto, tanto coraggio e buona volontà a raccogliere la verità là, dove è per ognuno, ogni giorno, sempre attorno a noi. Basterebbe desiderarla.
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