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Il Cappotto erotico

Quella sera di novembre ero seduto davanti ad un caminetto fumando la solita sigaretta, chiedendomi cosa ci facessi in quel posto e perché. Jess mi aveva mandato a chiamare al solito orario. Non avevo previsto il fatto che facesse tardi. Erano le diciotto di sera, il monsone soffiava da nord e il freddo ogni tanto penetrava le vetrate della casa fino ad arrivare alle mie ossa. Lo sentivo innestarsi dentro me come il tepore che derivava dal focolare attivo. A quell’ora, non potevo di certo rifiutare l’invito di Jess, d’altronde non avevo nulla da fare, anche se ammetto, mi sarebbe piaciuto offrirle una cena al solito ristorante giù in città. Quel ristorante era italiano, il migliore di tutta la città, dicevano. Io ci andavo spesso, le domeniche e il sabato sera ma soprattutto quando avevo le mie buone intenzioni con qualche donzella di turno. –Merda!- la sigaretta mi era caduta sulla scarpa sinistra. Ero distratto dal pensiero su Jess, quella donna mi faceva venire i brividi. La sua bellezza, i capelli scarlatti, gli occhi che parevano lastre di ghiaccio sciolte al sole, quel corpo da modella, così scolpito, così innegabilmente venereo, lasciava abbastanza spazio alla mia mente per immaginarla nuda sul mio letto. – Non posso – pensai. – Non posso farle questo -. Jess era la mia migliore amica, la conoscevo dai tempi delle elementari e mai ci finì a letto. Aveva avuto due mariti, uno morto di cancro ai polmoni e l’altro era diventato pazzo, fu ricoverato alla Saint Jermain un manicomio terrificante, dicevano. Una volta lei provò a sedurmi, ma io rifiutai. Non potevo, non volevo. Per me è sempre stata una cara confidente, conosceva tutti i miei problemi. Persino il mio stato attuale. Vivere nelle mie condizioni è difficile, per una persona normale sarebbe tutto più facile. Da un momento all’altro, Jessy Campbell sarebbe stata qui, con i suoi consigli, con le sue amorevoli domande, con la sua spietata curiosità. Sentii bussare alla porta – E’ lei? – pensai. Feci rullare le ruote fino alla porta, aprii, una figura alta e scura apparve sul ciglio dell’entrata, ma non era lei, non poteva essere lei a quell’ora. Lei tardava sempre. “ Salve signor Martin, vorrebbe donare qualcosa?” disse l’uomo alla porta quando la aprii. Era un testimone di Geova, io odiavo questi strani individui. Non sopportavo l’idea che dovessero fottere la gente spillando soldi per un credo inesistente. “No, grazie” risposi con tono gelidamente pacato. Chiusi la porta dopo qualche secondo, non lasciandogli il tempo di ribattere. Non avevo voglia di parlare con nessuno se non con Jess, lei era il mio unico pensiero e solo lei doveva esserlo. Avevo condotto la mia vita in modo austero negli ultimi tempi, ma quella donna era la mia ancora di salvezza, la ma cherie, come l’ho sempre chiamata fin dai tempi del liceo. Stavo diventando impaziente, per distrarmi avevo bisogno di un libro. Andai nel salone, scelsi un libro a caso dalla libreria ed iniziai a sfogliarlo. – Ah cazzo, no!- urlai nella mia testa. Era un romanzo di Hemingway, non so manco cosa ci facesse là. Io odiavo Hemingway, lo consideravo un vigliacco perché si era suicidato sparandosi in bocca con un fucile. Ad un tratto, suonò ancora una volta il campanello. Andai ad aprire convinto fosse qualche altro testimone di Geova che doveva per forza rompermi i coglioni. La figura che mi apparve era elegantemente misurata, come fosse un pavone gigante. All’inizio non compresi subito chi fosse, poi avvicinandosi, mi sussurrò all’orecchio – sorpreso? -. Era Jess. –Finalmente- pensai. “Sei qui, ma cherie “ le dissi. “ Si, sono qui. Scusa il ritardo mon garcon “ si scusò con aria rallegrata. Era felice di vedermi. Mi osservò ancora una volta, mentre la facevo accomodare nel salone. “Sempre in quella sedia sei, quand’è che ti alzerai?” chiese con puro sarcasmo. “ Mi alzerò quando tu mi chiederai perché sono seduto, cherie “ risposi. Ormai erano cinque anni che stavo in sedia a rotelle. Avevo subito quel famoso incidente nel New England. Era una mattina di lavoro intensa, presi la macchina e mi diressi a lavorare come tutti i giorni, ma in un attimo mi ritrovai coi freni non funzionanti. Un tir mi prese in pieno, frontalmente, durante una curva in una strada stretta e lunga. Da quel giorno, le mie gambe smisero di muoversi. Jess mi soccorse, arrivò addirittura prima dell’ambulanza, ma non c’era più nulla da fare, era già troppo tardi. “ Sei così pensieroso, a che pensi?” mi chiese nuovamente la donna. “A niente “ dissi, con tono di distacco. “ Ho una sorpresa per te, mio cavaliere “ disse puntandomi il dito contro. Mi osservò a lungo, poi sospirò e all’improvviso si tolse il lungo cappotto di cammello. Rimasi in panne quando vidi tutta quella bellezza, era nuda, completamente nuda. La sua pelle era bianca come il latte e la sua grazia era un cilindro di pura emozione. Avvicinò il suo collo sulla mia spalla, l’odore dei suoi capelli era acre. Mi sfiorò il volto con la mano sinistra, sussurrando qualcosa che non compresi e poi arrivò là, dove non doveva arrivare. A quel punto, non potevo tornare indietro, le emozioni erano troppo forti. Era un colpo al cuore accartocciato in quell’istante in cui lei si sedette sulle mie gambe, poggiò le mie mani sui suoi seni, morbidi e incendiari. Quei capezzoli rosei a punta, erano perfetti. Lei era una dea, una venere di Botticelli, mi penetrava gli occhi col suo sguardo, tenero e parlatore. Diceva tutto e niente con quell’espressione, quel tutto dal quale si vedevano mondi e universi a me conosciuti ma in quell’istante totalmente estranei. Lei cominciò a spogliarmi lentamente, un capo alla volta. Io ero impassibile, non potevo crederci. In un momento, prese la mia mano destra e la passò nella sua vagina, voleva ch’io sentissi. Voleva ch’io mi abbandonassi finalmente a lei, dopo tutti quegli anni assieme. Ma io non potevo, non dovevo tradirla, non doveva nemmeno passarmi per la mente. Il suo desiderio era il mio, ma non potevo darle ciò che lei, amabilmente chiedeva. “ Io ti amo” le dissi. “ Non posso, io ti amo” continuai.
 
Continua…

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