Scritto da © Carlo Gabbi - Mer, 04/03/2015 - 11:49
Ricordi di giorni passati
Parte due, … uno sbalzo all’indietro…
Vi avevo promesso che vi avrei parlato delle mie vacanze estive, quand’ero ancora giovane a casa di mia nonna Gigia a Tolmezzo. Lo farò al più presto, ma prima di rivangare quei ricordi penso di fare un gran salto indietro, al principio di quel XX secolo, in Budapest, dove allora si trovava mia nonna. Molti di voi avranno ormai letto questa parte di storia che scrissi a riguardo dei miei avi, i Tullio di Nimis, benestanti e, che erano imprenditori in Ungheria e Transilvania. In quei giorni lontani forse vi erano un centinaio di operai friulani che stagionalmente seguivano il mio bisnonno in quella terra lontana. Scrissi sei capitoli che pubblicai qui in Rosso, sotto il titolo “A Tale of the Past” e li potete trovare sul mio blog. La prima parte fu pubblicata in data il 13/01/12 e si concluse, 08/05/ 12. Dò queste indicazioni per coloro che volessero aggiornarsi su questa parte di storia del passato che riflette la vita di molti nostri avi.
Riprendo questa mia storia da dove la troncai bruscamente al termine del sesto capitolo, quando mia nonna Gigia ricevette il perentorio ordine da parte del padre Francesco di raggiungere immediatamente la famiglia che ormai, da Nimis si era trasferita in Transilvania.
Non ho mai raccontato del perché nonna Gigia fu sbalzata repentinamente dalla splendida vita lussuosa che conduceva a Budapest entro un alquanto più misera e servile attività lavorativa, impostogli dal padre.
Brevemente cercherò di narrare ora cosa avvenne in quel lontano 1902.
Si era giunti alla fine d’autunno e le piogge quell’anno erano cadute in modo torrenziale, seguite da un repentino gelo e da impreviste nevicate. Non era atteso un miglioramento climatico in quel luogo montano e con l’arrivo dei geli ben presto sarebbero stati impossibili i lavori all’aperto. Ragione questa che chiuse anzitempo il cantiere sinché quei lavoratori potessero ritornare in Friuli. In fronte a loro si presentava un lungo cammino, un migliaio di kilometri e, come in precedenza sarebbero partiti in gruppi, formatisi dall’unione di amici fidati, e capaci di difendersi lungo la via da possibili predatori. Nelle loro bisacce vi sarebbe un discreto gruzzoletto di denaro, che sarebbe stato pagato a loro come saldo per il loro lavoro stagionale in quell’ultimo sabato del mese. (Forse, qualcuno di voi, si chiederà perché mai non ricevessero un pagamento mensile. In quei giorni lontani ben pochi operai avevano dimestichezze con le banche, preferivano essere pagati in soldi contanti. Quindi era per loro difficile custodirli vivendo in comunità, e avevano richiesto di lasciare i loro averi nelle mani dei loro imprenditori, che li avrebbero custoditi sino al termine della stagione lavorativa.)
Quel pomeriggio erano tutti in attesa del contabile della ditta, un uomo locale, (da poco elevato alla carica di giovane dirigente della ditta Tullio), che arrivasse dalla città vicina con i loro contanti in monete d’oro, ben rinchiusi entro ruvide sacche di tela e contraddistinte con il loro nome. Poi, subito dopo si sarebbero incamminati sulla strada del ritorno.
Si faceva tardi e ormai imbruniva. Da lungo era passato il tempo prefisso accordato con il contabile, e molti impazientiti attendevano il suo arrivo sulla strada, aspettando di udire al più presto l’atteso scalpiccio degli zoccoli di cavalli, accompagnato dal cigolio delle ruote della carrozza sopra la terra battuta della strada. In quell’angosciante attesa, sembrava che Il tempo passasse più lentamente, e alcuni ormai imprecavano su quel ritardo. Gli operai erano ansiosi di iniziare la lunga marcia, e ai loro piedi erano pronte le sacche da viaggio, ripiene di provigioni da consumarsi lungo il cammino.
Questo ritardo inaspettato impensierì pure Francesco. Mai, durante gli anni passati era avvenuto qualcosa di simile. Che fosse successa una disgrazia a Otto, il contabile? Bisognava accertarsi, così inviò un paio dei suoi luogotenenti fidati a perlustrare a ritroso la strada verso la città. Passarono alcune ore, e la notte era ormai inoltrata, prima che questi rientrassero al cantiere.
Era dipinta ora l’ansia sulle facce di tutti coloro in attesa di notizie. Dubbi pesavano più che mai nell’animo di Francesco, che si sentiva diretto responsabile verso i suoi dipendenti. Purtroppo le notizie ricevute non furono buone.
I suoi uomini erano giunti sino alla città, e andati all’ufficio contabile, interrogarono gli impiegati ancora intenti al lavoro, ma nessuno sapeva cosa fosse accaduto a Otto. Questi, il giorno precedente aveva ritirato i denari necessari dalla banca, poi quella sera, al tempo di chiusura dell’ufficio disse agli altri di non attenderlo al giorno successivo poiché si sarebbe recato al cantiere a pagare gli operai.
I due luogotenenti dissero pure che lungo il percorso avevano scrutato la strada senza notare alcun segno di un deragliamento della carrozza, o di rapina armata.
Si era fatto tardi e fu segnalata la scomparsa alla polizia locale, che a sua volta notificò il fatto telefonicamente, a tutte le stazioni limitrofe di polizia chiedendo di sorvegliare le strade. Era ben risaputo a Francesco, che per una risposta a tali ricerche abbisognava un lungo tempo, e che più questo passava, minore sarebbe la possibilità di ricuperare la refurtiva, una grossa cifra di denaro per la sua ditta, l’ammontare delle paghe di un’intera stagione di tutti gli operai.
Era giunta la notte di quel sabato di Novembre. Le banche avevano ormai chiuso sin dal pomeriggio e non sarebbero state riaperte sino il lunedì mattina. Francesco era quindi nell’impossibilità di ritirare altri soldi in quel giorno per pagar almeno un anticipo alle retribuzioni dovute. Non aveva alcuna soluzione imminente. Fece convenire gli operai nella baracca addetta alla mensa, dove li informò dell’accaduto. Parlò loro in modo semplice narrando i fatti a conoscenza, disse pure che i soldi ritirati per le loro paghe potessero ormai considerarsi persi, senz’altro rubati da malviventi. Ancora non si sapeva bene da chi, ma che in ogni evenienza, lui si rendeva completamente responsabile nei loro riguardi. Aveva grande stima di loro che li conosceva capaci e fedeli operai da lungo tempo e dava loro garanzia che non avrebbero perso nulla. Dovevano unicamente attendere sino al prossimo lunedì per consegnare loro denaro sufficiente per il loro viaggio di ritorno, con la promessa che avrebbero ricevuto il resto al più presto, dopo il loro rientro in Friuli.
Nessuno era felice della situazione, ma tutti conoscevano Francesco. Sapevano che era un galantuomo e non sarebbe venuto meno alla sua parola. Così fu e, per la sera di quel lunedì molti di loro si erano ormai incamminati lungo la via del ritorno.
Quali Furono le informazioni che Francesco ricevette quel lunedì mattina, quando di buon mattino si presentò dal direttore della sua banca?
Intuì di quanto grave fosse la sua situazione finanziaria, ancor più di quanto aveva immaginato e impallidì nel vedere il bilancio dei suoi averi sul libro contabile della banca. Capì che a derubarlo fu il suo contabile, che in quel precedente venerdì, ritirò dall’acconto bancario della ditta Tullio quanto più fu possibile senza attrarre sospetti. Notò che su l’acconto bancario dei Tullio era rimsrto ben poco denaro, scarsamente sufficiente per un misero anticipo a tutti i suoi operai. Aveva perso nel giro di un giorno una fortuna, tutti i risparmi accumulati in lunghi anni di lavoro, lasciati custoditi in banca come garanzia e sicurezza per un attivo futuro dell’impresa. Con amarezza dovette ammettere di essere sull’orlo della rovina finanziaria. Dura fu per lui questa realizzazione. Era sessantenne ormai e vecchio per i suoi tempi (le statistiche dicono che la vita di un uomo era al principio di quel secolo era poco più dei sessant’anni) e vi era troppo poco tempo in fronte a lui per ripristinare la grandezza e il prestigio passato. Doveva imporsi una rigida disciplina per non crollare, e far sì che rimanesse la fiducia riposta in lui come un capace dirigente della ditta Tullio, senza che questa venisse meno nella futura capacità lavorativa dei suoi dipendenti, e rimanesse alto il prestigio del passato.
~*~
Ora lo attendeva il viaggio di ritorno verso Nimis. Per quel viaggio aveva trattenuto per se` solo poche monete, che non lo avrebbero portato molto lontano in quel penoso viaggio. Non si sarebbe permesso di alloggiare in alberghi o pensioni lungo la via, e avrebbe rinunciato a pranzi sostanziosi com’era uso. Quei pochi spiccioli in tasca, non sarebbero bastati per comprar croste di pane, da bagnare con l’acqua delle fontane trovate sul cammino. Sebbene si fosse imposto tale austerità, ben presto si trovò a tasche vuote e fu costretto a vendere come prima cosa, il suo calesse e alcune delle cose personali. Ritenne con sé unicamente l’indispensabile entro una sacca. Anche questo fu di breve aiuto. Non aveva ancor raggiunto la metà del lungo cammino e Francesco era ormai provato dalle privazioni, apparendo come un misero viandante con barba incolta, ed evidenti segni d’usura nell’abito che indossava. Francesco in meno di due settimane aveva perso le vestigie del suo usuale decoro quando era tra la cerchia sua classe sociale. Per mantenersi in forza si concedeva ora il lusso di una ciotola di zuppa al giorno per il suo sostentamento. Ugualmente appariva stremato, di forze e, alla fine, si presentò il dilemma di quale delle sue due ricchezze rimastogli dovesse privarsi, Era forse il suo cavallo bigio, oppure l’orologio e catena d’oro che vennero a lui alla morte del padre?
Erano due cose così Paramount per lui di cui preferiva di non privarsi. Ma aveva l’obbligo di sopravvivere, l’attendevano impendenti doveri verso la famiglia e verso i suoi operai. Pensò che per il suo prestigio personale non avrebbe nemmeno potuto mendicare lungo la strada, cosa quella cui era meglio non pensarci. All’arrivo doveva giungere alla soluzione dei suoi problemi finanziari, di come trovare al più presto abbastanza capitale da pagare i suoi fedeli operai. Aveva ancora bisogno di loro per terminare il suo obbligo da lui sottoscritto nel contratto di lavoro, di terminare in tempo quei lavori presi in appalto sulla costruzione della ferrovia che avrebbe congiunto Budapest con la Transilvania, necessaria alla capitale Ungherese e rifornirla senza indugio del legname e del ferro necessari alle nuove fabbriche.
Tra quei pensieri, mentre camminava a piedi, parte del tempo a fianco del cavallo, altrettanto stanco quanto lui. Nel frattempo Francesco era ora giunto in una cittadina croata, luogo in cui usava far tappa nei viaggi passati e dove era ben conosciuto. Aveva deciso che il cavallo sarebbe stato di maggior aiuto e capace di condurlo più vicino a casa. Se voleva arrivare a Nimis al più presto, doveva privarsi di quel cimelio paterno, anche se solo temporaneamente. Poteva sempre chiedere un prestito in denaro lasciando come pegno l’orologio paterno sino a un futuro ritorno, quando le sue fortune si fossero ristabilite. L’albergatore, cui chiese quest’aiuto, e che ben conosceva, sapendo la sua infortunata situazione, acconsentì alla richiesta di Francesco.
Continuò quindi il cammino, Si trovava ora quasi alle porte di Fiume, e si trovò nuovamente squattrinato. Sul mercato locale poté racimolare quegli ultimi quattrini necessari. Non erano molti, poiché anche il cavallo aveva sofferto di malnutrizione. Non aveva toccato biava da un mese intero, unicamente nutrito dalle grame erbe agli argini stradali.
Francesco fece un fardello delle poche cose rimastogli e affrontò a piedi quell’ultimo centinaio di kilometri. Era stanco e sofferente, e impiegò cinque giorni prima che al suo orizzonte spuntassero le prime case del suo paese. Quegli ultimi giorni furono di tormento, aveva sofferto privazioni alquanto maggiori alle sue previsioni. Sentiva ora il peso dei suoi sessant’anni. Sognava di trovare all’arrivo un buon bagno caldo, un letto in cui poter dormire, e un buon pasto ristoratore. Imprecava a voce alta contro se stesso per l’immensa balordaggine d’aver scelto quel sciagurato che l’aveva derubato dei suoi averi e della sua dignità umana. Cosa mai Maria, sua moglie avrebbe pensato di lui nel rivederlo?
NOTA: La polizia del distretto Transilvano cui il mio bisnonno aveva i lavori, non fu mai capace a trovare tracce della fuga di Otto, il contabile dei Tullio. Dopo circa tre anni corsero voci tra i locali, che la madre di Otto avesse ricevuto una buona somma di denaro dal Canada. Non esisteva il nome del mittente, ma fu pensato provenisse da parte del figlio.
Fu presunto che Otto aveva premeditato il furto da lungo tempo, e che quella stessa sera di venerdì partì alla chetichella, favorito dall’oscurità notturna e poté attraversare il confine con la vicina Turchia nel mattino del sabato e si diresse verso Instabul, che in quegli anni aveva una linea di navi passeggeri che portavano emigrati Russi sia nell’America del Nord, come pure In Canada.
Dopo di quel regalo alla madre cadde su di lui un completo silenzio e della sua vita nel lontano Canada non venne mai saputa.
~*~
Fine seconda parte
»
- Blog di Carlo Gabbi
- 850 letture