In pieno malessere i pesci si perdono a fondo
inseguono sogni, ma restano soli con l’incubo
che il mare finisca di colpo. Fanno per uscire
con le loro piume d’argento scagliate nel vento,
ma l’aria li cattura per sfinimento – io ho preso
un’acciuga, a giugno, al largo di Paestum, fuori dall’onda
mi parve incomprensibile: solo il mio spirito si diffonde
nell’aria, libero dal sale, privato di verbi carnosi. È seccante, però,
non avere peso. Stazza, si dice, la stazza adora l’altezza,
altrimenti il mare non si alzerebbe a vuoto.
O la voce, ad esempio, emessa dalle branchie,
più come gesto di ali che battono rotte incidentali
che come suoni disperati dove finisce il mare.
E già che amo i volanti, l’ho amata con queste parole,
tirate dalla bocca, le viscere spiaggiate, salati e compressi
i resti nel sangue che si tura il naso e cola minerali
dorati che dichiarano falsamente una carne.
Dell’acciuga ancora questo mi rimane:
lo spirito agisce sotto copertura corticale
attraversa le squame con un grido
senza vocale e lascia alla terra
una mancia sempre uguale.
- Blog di ferdigiordano
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