15/01/2015 | discussioni | Hjeronimus | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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15/01/2015

15/01/2015
Sui Media di tutto il mondo si è visto ieri apparire la faccia da scemo di uno vestito come i re Magi, con uno zucchetto/turbante in testa e una barbetta da capra selvatica. Lo scimunito ha dichiarato la rivendicazione e la paternità, come Al Qaeda, degli attentati di Parigi. Ha definito “eroi” gli altri due scimuniti che li hanno compiuti e ha ritorto contro la Francia le solite menate sulle responsabilità occidentali, per esempio della Francia, appunto, nel Mali, a danno dei “gloriosi” combattenti, sia pure scimuniti, islamici. Ovviamente “sorvolando” (“soprassediamo” avrebbe detto Totò) sulle nefande atrocità colà commesse dai suoi amici “eroi”. Ovviamente, è “eroico” rapire e ridurre in schiavitù giovani fanciulle per poi “venderle” a vecchi porci viziosi,  ben timorati di Dio. È “eroico” fare strage di innocenti disarmati di poveri villaggi africani, abitati per lo più da bambini  e loro madri. È “eroico” abbattere con un Kalashnikov un innocente disarmato a terra, o fucilare dei disegnatori armati di sole matite. Begli eroi, coraggiosi ed equanimi giustizieri.
Non val neanche la pena di sconfessare l’ovvia bestialità di queste idiozie. Né di stare qui a ripetere la solfa che quei dementi non sono all’altezza di far incuneare nelle loro zucche vuote. Cioè che nel loro pregiudizio colmo di odio non c’è altro che la sconfitta del loro modello arcaico e la risposta  sadica e rabbiosa del fallito sull’altro, su quegli che invece lo supera per qualità, civiltà e ingegno.
Il problema è altrove e cioè nel trascinamento verso lo stesso odio anche di coloro che fin qui vi si sono opposti, ossia noi stessi nell’atto di affermare stancamente il Diritto Universale dei Popoli. Perché sempre più irrevocabilmente si insinua anche in noi il sospetto che non vi sia, non esista un “Islam religione di pace” e che, nel fondo opaco di ogni inconscio di quella parte, crogioli invece soltanto il risentimento feroce della sconfitta morale di un mondo, di un modello, di una Weltanschaaung nei confronti degli altri. Un  problema di archetipi più o meno vincenti.
Narrava giustamente Canetti, in “Massa e potere”, di come tali archetipi si plasmino nelle incognite profondità delle radici d’appartenenza di una lingua e di una cultura. Come da tale brodo primordiale della psiche essi si consolidino in figure simboliche, permeate delle massime virtù convalidate nei propri rispettivi ambiti. Per esempio, lui che aveva dovuto patire l’avvento del Nazismo, ci dice che il referente valoriale dell’uomo tedesco è il Wanderer, l’uomo girovago nella foresta. L’osservatore della natura. Se vogliamo, l’esploratore/scienziato. Un archetipo positivo dunque e stimolante. L’archetipo traslata nel mito ed è qui che si cristallizza. Ma il mito può sempre rovesciarsi dialetticamente e trasformarsi in una catastrofe, come appunto nel Nazismo. E qui è proprio del Nazi-islamismo che dobbiamo preoccuparci. Un fenomeno che ha la medesima presa magico-sadica sul singolo del suo precedente germanico.
Ci chiediamo a quale tipo di archetipo faccia riferimento l’uomo del deserto. Cosa si aspetta dalla vita, che desideri coltivi nel proprio intimo. Ma possediamo già una sfilza di nozioni negative a tale riguardo: la sfera sessuale; il rapporto al femminile; il rapporto al concetto di lavoro, eccetera. In tutti questi settori, sappiamo già che vi aleggia sopra il pregiudizio e che noi che siamo ancora pervasi da scorie significative del pregiudizio stesso, non solo facciamo fatica a scrollarcelo definitivamente di dosso, ma ci sentiamo disarmati e disperati di poter fare altrettanto con interlocutori fermi al grado germinale del mito. In altri termini, si fa strada da noi una specie di contro-pregiudizio che scavalca i nostri concetti liberali e universali e mette in dubbio l’applicabilità globale di tale universalità, pregiudicandola quindi proprio nella sua configurazione. È l’idea di una irrimediabile differenza tra la nostra costruzione logico-sistematica della realtà e il “loro” irrazionalismo enfatico, ridondante e un po’ “cannibale”, in una parola, la loro “barbarie”.
Più sopra abbiamo detto che pian piano non ci fidiamo più dell’ “Islam religione di pace”. In verità non ci fidiamo di nessuna “religione di pace”. La religione non esiste per la pace. Cristo stesso lo aveva ammesso. È la religione che opera una de-costruzione logica della realtà, anteponendole invece un modello “leggendario”. È lei che fomenta la fiamma dell’irrazionalismo nelle menti più deboli e arretrate del globo terracqueo. E l’idea della pace non può che essere razionalmente perseguita. Certo, per un povero diavolo, mettiamo africano, che vive nudo e denutrito fra le sabbie del deserto è dura rinunciare all’illusione salvifica di un “regno dei cieli”. Tuttavia, non possiamo accecarci dopo esserci illuminati: l’icona di un Dio buono e barbuto, installato nella Gerusalemme Celeste che, da buon papà-patriarca, ammannisce di lassù una giustizia infinita e universale, non è che l’equivalente di Babbo Natale, o della Fata dai capelli turchini, sia detto. Il nostro unico strumento di “redenzione” è il Logos, il raziocinio. Rinunciandovi e abbandonandosi invece al risentimento, sia i nostri pazzi (Breivik) che i “loro” (I fratelli massacratori di Parigi) ci guideranno il dito sul grilletto e allora addio.
La nostra stessa fede democratica entra in crisi: non eravamo i fautori del pacifismo? Non volevamo pace amore e musica? Non eravamo i difensori del diritto dei più deboli e quelli che volevano giustificare con le cause sociali e storiche i torti e i delitti del proletariato? Tutto decade sotto la spinta di una preistoria che riaffiora dall’oceano fossile dell’oblio per riaffacciarsi sul presente con una opzione barbarica, primordiale, che avevamo dimenticato. Una cosa che potremmo chiamare il diritto alla soppressione del diritto. Il diritto alla caverna, senza regole né rispetto, alla luce dell’unica legge pre-dominante sul mondo animale, quella delle belve.
Così si delinea all’orizzonte lo scontro tra la fantascienza e la preistoria, ove questa non può assolutamente vincere, perché anche la sua vittoria, nella sua intima brama di autodistruzione, diverrebbe la sconfitta del genere umano e quindi anche la sua propria. E la prima può bensì vincere, ma trascinandosi dietro le contraddizioni e le ingiustizie, poi fatali al proprio pre-tendere alla ragione.
Aggiungerei che il mito del barbaro è presto tracciato: farsi  i fatti propri, infischiandosene del resto del mondo. Prendere gratis e dare niente in cambio. Sfruttare le femmine, più deboli, per il proprio esclusivo sollazzo e per mandarle a lavorare al proprio posto. Restarsene comodi davanti a un bicchiere, mentre altri s’addannano onde procurarsi il pane quotidiano, e poi,  semplice semplice, fregarglielo dopo che l’hanno sfornato. Alti ideali che non prevedono alcuno sforzo di meningi, alcun raziocinio. Basta procurarsi un kalashnikov…
     
 
 

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