Scritto da © Franco Pucci - Ven, 14/11/2014 - 09:50
Era tempo che io e te
-mio immaginario seppur reale e straziante interlocutore-
ci incontrassimo di nuovo su questa panchina usurata
mentre la darsena chiude gli occhi al riflesso del tramonto.
Il marmo è gelido, è vero
e mentre io mi acconcio rabbrividendo i pensieri rattrappiti
tu preferisci volteggiare lassù -parentesi interrogatoria-
nell’azzurro ingrigito di questo autunno, e ascolti partecipe.
È venuto il tempo che
-dismessi abiti di nomade inadeguato di versi e quartine-
metta un punto su questa pagina sfuggita al carcere elettronico
e che definisca quel che mi attende al prossimo angolo della vita.
[Ho bruciato teorie di topi impestati tra le pagine di Camus,
ho stipato sul ballatoio monatti evasi dalla prosa manzoniana
Prevert ora ha una cartolina di Chioggia attaccata alle costole
e ho un armadio di abiti da poeta fingitore come dice Pessoa.]
Più non ti vedo, amico mio
forse la parentesi lassù s’è aperta e la difficile equazione s’è sciolta.
È stato un volo lungo un lustro e all’approdo ho sognato quando,
smesse le ali sul marmo, con la paura della solitudine t’ho inventato.
Era tempo che tu sapessi
su questa panchina nel tempo è cresciuto un gabbiano di cartapesta
dal becco fragile, sporco di parole appiccicate alle ali maldestre
implume, ironico cria di un’italica nidiata di santi, poeti e navigatori.
Punto. A capo.
-mio immaginario seppur reale e straziante interlocutore-
ci incontrassimo di nuovo su questa panchina usurata
mentre la darsena chiude gli occhi al riflesso del tramonto.
Il marmo è gelido, è vero
e mentre io mi acconcio rabbrividendo i pensieri rattrappiti
tu preferisci volteggiare lassù -parentesi interrogatoria-
nell’azzurro ingrigito di questo autunno, e ascolti partecipe.
È venuto il tempo che
-dismessi abiti di nomade inadeguato di versi e quartine-
metta un punto su questa pagina sfuggita al carcere elettronico
e che definisca quel che mi attende al prossimo angolo della vita.
[Ho bruciato teorie di topi impestati tra le pagine di Camus,
ho stipato sul ballatoio monatti evasi dalla prosa manzoniana
Prevert ora ha una cartolina di Chioggia attaccata alle costole
e ho un armadio di abiti da poeta fingitore come dice Pessoa.]
Più non ti vedo, amico mio
forse la parentesi lassù s’è aperta e la difficile equazione s’è sciolta.
È stato un volo lungo un lustro e all’approdo ho sognato quando,
smesse le ali sul marmo, con la paura della solitudine t’ho inventato.
Era tempo che tu sapessi
su questa panchina nel tempo è cresciuto un gabbiano di cartapesta
dal becco fragile, sporco di parole appiccicate alle ali maldestre
implume, ironico cria di un’italica nidiata di santi, poeti e navigatori.
Punto. A capo.
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