Scritto da © Hjeronimus - Lun, 03/11/2014 - 22:38
Perché c’è qualcosa e non qualche altra cosa?
Chi muore, esce dal tempo. Il suo tempo è finito e lui ne esce, così com’è e per sempre. Uno degli effetti bizzarri è che, se si tratta di un giovane, resta tale per l’eternità. I morti non invecchiano e quando la società ripensa, che so, a un Jim Morrison, per esempio, lo annovera pur sempre nella stirpe del “giovanilismo” ribelle Anche se oggi avrebbe settant’anni o giù di lì. Ora, l’uscita dal tempo si figura in molte diverse rappresentazioni come una specie di “rientro” in quel vuoto enigmatico da cui saremmo scaturiti. Questo perché il tempo è premessa necessaria ad ogni esserci e ci si figura di conseguenza l’uscita dal, o l’assenza del, tempo come la condizione originaria di prima del nascere del cosmo. L’assenza del tempo ci si presenta dunque come una sorta di vuoto pneumatico, un aldilà, un buco vuoto ove tutto è azzerato. Ossia, esso si trasforma in un’“altra parte”, un’alterità inquietante e impercettibile.
Ciò che sarebbe interessante capire è se questa “caduta” rapporta davvero il soggetto che cade a quel nulla originario. Ossia, se l’uscita dal tempo si raccorda in qualche maniera al “prima” della nascita del tempo. Di modo che la morte individuale si conforma, si “scioglie” nel fantasma che precede la nascita della storia, del tempo, “rientrando” nella nullità primeva (nella vacuità, direbbero gli orientali). Impossibile stabilire una connessione di questo genere. Possiamo soltanto immaginare, per associazione di idee, l’uscita dal tempo come qualcosa di analogo alla condizione del non-tempo, ossia di prima della creazione. Il che ci fa sperare in un “di là”, un’altra possibilità oltre quella conchiusa dell’esperienza umana. Non sapendo alcunché di quel “fuori”, né neanche immaginandoci dove reca l’”uscita”, è lecito sbizzarrirsi sui significati più stravaganti e le ipotesi più visionarie e suggestive.
Ma una riflessione seria è pur legittima. Questa: un altrove è possibile?
Per i fisici, sì. L’altrove è il “resto” se escludiamo l’universo perscrutabile. Questo, a quanto pare, è curvo e il tutto che contiene, spazio e materia, è fatto di tempo. Oltre la curva del firmamento è “altrove”: un vuoto inimmaginabile, perché il “vero” vuoto è quello spaziale e anche lui è “fatto”. Di tempo, appunto. Si sono persino immaginati dei “corridoi” che attraversano il tempo da parte a parte, tagliando le curve, e facendo percorrere in breve magari milioni di anni-luce… da parte a parte attraverso l’”altrove”… Ecco, quando si spegne il tempo di un vivente, anche lui finisce nell’”altrove”? È ammissibile l’idea di comparare e connettere la struttura psichica e quella cosmica, basandosi sul fatto che ambedue sono fatte di tempo?
Ecco, questa mi pare una buona partenza per vedere di scandagliare l’”altrove”. E il Leit-motiv resta quello del senso: se ogni cosa in natura sembra possedere (e procedere da) una ragione, perché questa ragione dovrebbe sottrarsi proprio all’atto fondativo che la fa esistere? Ci interessa il “prima” e il “fuori” (l’altrove appunto) dell’apparenza sensibile. L’”invisibile”, se vogliamo, citando Merleau-Ponty.
Il tempo è la forma dentro la quale sorge e si spegne la vita. Siamo completamente avvolti in questa forma e ci è impossibile soltanto immaginare un altrove da ciò. Ma che cavolo è il tempo? Forse siamo arrivati alla giusta formulazione del quesito: perché c’è il tempo e non il nulla? Da questa angolazione l’esistenza del tempo assume quasi connotati metafisici. Perché immaginare la nascita della materia è più facile che concepirla come nascita del tempo. Il tempo non ci appare affatto “cosale”, al contrario ci sembra quasi il lato etereo, incorporeo della realtà. Come se il reale, per esempio questo astuccio qui, fosse fatto, constasse di due lati: le molecole della sua struttura e il tempo. Ossia la sua parte effettiva e sensibile, e una parte incorporea che, sebbene nota e ovvia, è come il suo fantasma intangibile e segreto. Cos’è il tempo, da dove viene, perché ci siamo incastrati dentro? E dove vado a finire quando ne dovrò saltar fuori?.
No. Niente. Solo questo: il nulla è l’altrove del tempo; la morte è l’altrove dell’esserci. Forse s’allacciano, chissà come, chissà dove, in un abbraccio ragionevole.
Chi muore, esce dal tempo. Il suo tempo è finito e lui ne esce, così com’è e per sempre. Uno degli effetti bizzarri è che, se si tratta di un giovane, resta tale per l’eternità. I morti non invecchiano e quando la società ripensa, che so, a un Jim Morrison, per esempio, lo annovera pur sempre nella stirpe del “giovanilismo” ribelle Anche se oggi avrebbe settant’anni o giù di lì. Ora, l’uscita dal tempo si figura in molte diverse rappresentazioni come una specie di “rientro” in quel vuoto enigmatico da cui saremmo scaturiti. Questo perché il tempo è premessa necessaria ad ogni esserci e ci si figura di conseguenza l’uscita dal, o l’assenza del, tempo come la condizione originaria di prima del nascere del cosmo. L’assenza del tempo ci si presenta dunque come una sorta di vuoto pneumatico, un aldilà, un buco vuoto ove tutto è azzerato. Ossia, esso si trasforma in un’“altra parte”, un’alterità inquietante e impercettibile.
Ciò che sarebbe interessante capire è se questa “caduta” rapporta davvero il soggetto che cade a quel nulla originario. Ossia, se l’uscita dal tempo si raccorda in qualche maniera al “prima” della nascita del tempo. Di modo che la morte individuale si conforma, si “scioglie” nel fantasma che precede la nascita della storia, del tempo, “rientrando” nella nullità primeva (nella vacuità, direbbero gli orientali). Impossibile stabilire una connessione di questo genere. Possiamo soltanto immaginare, per associazione di idee, l’uscita dal tempo come qualcosa di analogo alla condizione del non-tempo, ossia di prima della creazione. Il che ci fa sperare in un “di là”, un’altra possibilità oltre quella conchiusa dell’esperienza umana. Non sapendo alcunché di quel “fuori”, né neanche immaginandoci dove reca l’”uscita”, è lecito sbizzarrirsi sui significati più stravaganti e le ipotesi più visionarie e suggestive.
Ma una riflessione seria è pur legittima. Questa: un altrove è possibile?
Per i fisici, sì. L’altrove è il “resto” se escludiamo l’universo perscrutabile. Questo, a quanto pare, è curvo e il tutto che contiene, spazio e materia, è fatto di tempo. Oltre la curva del firmamento è “altrove”: un vuoto inimmaginabile, perché il “vero” vuoto è quello spaziale e anche lui è “fatto”. Di tempo, appunto. Si sono persino immaginati dei “corridoi” che attraversano il tempo da parte a parte, tagliando le curve, e facendo percorrere in breve magari milioni di anni-luce… da parte a parte attraverso l’”altrove”… Ecco, quando si spegne il tempo di un vivente, anche lui finisce nell’”altrove”? È ammissibile l’idea di comparare e connettere la struttura psichica e quella cosmica, basandosi sul fatto che ambedue sono fatte di tempo?
Ecco, questa mi pare una buona partenza per vedere di scandagliare l’”altrove”. E il Leit-motiv resta quello del senso: se ogni cosa in natura sembra possedere (e procedere da) una ragione, perché questa ragione dovrebbe sottrarsi proprio all’atto fondativo che la fa esistere? Ci interessa il “prima” e il “fuori” (l’altrove appunto) dell’apparenza sensibile. L’”invisibile”, se vogliamo, citando Merleau-Ponty.
Il tempo è la forma dentro la quale sorge e si spegne la vita. Siamo completamente avvolti in questa forma e ci è impossibile soltanto immaginare un altrove da ciò. Ma che cavolo è il tempo? Forse siamo arrivati alla giusta formulazione del quesito: perché c’è il tempo e non il nulla? Da questa angolazione l’esistenza del tempo assume quasi connotati metafisici. Perché immaginare la nascita della materia è più facile che concepirla come nascita del tempo. Il tempo non ci appare affatto “cosale”, al contrario ci sembra quasi il lato etereo, incorporeo della realtà. Come se il reale, per esempio questo astuccio qui, fosse fatto, constasse di due lati: le molecole della sua struttura e il tempo. Ossia la sua parte effettiva e sensibile, e una parte incorporea che, sebbene nota e ovvia, è come il suo fantasma intangibile e segreto. Cos’è il tempo, da dove viene, perché ci siamo incastrati dentro? E dove vado a finire quando ne dovrò saltar fuori?.
No. Niente. Solo questo: il nulla è l’altrove del tempo; la morte è l’altrove dell’esserci. Forse s’allacciano, chissà come, chissà dove, in un abbraccio ragionevole.
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