Una volta, quando facevo il Liceo, l’insegnante di religione tracciò alla lavagna una line orizzontale e a metà la spezzò con una linea verticale. Ecco, ci disse indicando il punto di intersezione, questo è il punto di morte, oltre si sale… Mi alzai e andai lì. Presi il gessetto e, seguendo un preciso concetto che avevo precedentemente elaborato, tracciai la verticale in giù e dissi: ecco, così è come la vedo io. Ah, beh, disse lui, un pensiero nichilista…
Lo stesso disegno ritrovo qui, in questo “Dissipatio H.G.”, ove H sta per Humani e G per Generis: la dissoluzione del genere umano. È l’ultima fatica poetica, fantasy e narrativa di Guido Morselli, che qui voglio ricordare.
Dunque, anche il suo era un “pensiero nichilista” e il suo racconto, non solo non lo nega, ma lo illustra e lo dispiega dialetticamente, come fosse una “dissipatio more geometrico”… Il protagonista del racconto ci accompagna all’interno di un paesaggio che non è arduo ravvisare nella montagna svizzera. È alla ricerca della sua solitudine, lontano dalla metropoli, una condizione che gli è consona e che si accorda con una specie di istinto di morte che percepiamo sin nel titolo. Ma colà entra in una caverna e accade l’”evento”. Al suo rientro nel mondo, l’umanità è irreperibile, si è dissolta. Morselli ci introduce in un universo calmo come un camposanto, a parte qualche transitoria idiosincrasia. E ci illustra come lui, suicida in fieri, resti l’unico, l’ultimo, il testimone.
Questo Ultimo sperimenta la propria unicità come una specie di assenza dell’altro, come un togliersi del livello intersoggettivo in grazia della propria “differenza ontologica”, ossia come se l’io concretizzasse tale differenza assolutamente. Ma questo “io” è il Suicida: A questo punto si manifesta questa differenza: tra la differenza ontologica e il suicidio. Il risultato è un capovolgimento di fronte. La morte dell’”io” si manifesta come estinzione del “noi”, l’orizzonte antropologico è “suicidato”, resta l’”io” nell’assolutezza della propria differenziale solitudine. Ma è un “io” fantasma. Si muove come un sopravvissuto in un universo vuoto d’umanità, ma non è un universo garantito: forse il morto è il sopravvissuto, forse no. Siamo quindi all’interno di un universo facoltativo, ove il navigatore ha facoltà di optare per l’”Io”, ovvero per il mondo, anche se quest’ultimo pare scomparso. Il problema dell’essere, almeno per come si era venuto componendo nell’ambito esistenzialista, è qui condotto alle estreme conseguenze: se l’essere è soltanto “differenza ontologica”, allora è come appare qui, ove l’intersoggettività è abolita. Se tale non è, allora necessità del proprio eguale a cui è appunto intersoggettivo, nella sua differenza. In questa configurazione, il fantasma è il soggetto, l’”io”, non il “noi”.
Ma al di là dell’aspetto speculativo, sembra di poter captare il disperato appello del nostro Guido, il suo “Aiuto!” arrotolato nella bottiglia. Ciò che sta, per altro così magistralmente, de-scrivendo è il paesaggio dell’attimo seguente al gesto del suicida. È l’orizzonte del morto che si è appena dato la morte. Una propedeutica all’ammazzarsi che somiglia al motivo su cui riflettere del perché farlo. Di perché l’ha fatto. Guido Morselli si ucciderà qualche mese dopo la stesura finale di questo libro.
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