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L'ombra di Casteldaccia

 
 
Nei miei ricordi,
la navata di un castagno
mutilo, erosa dalle croci
delle libere lucertole
pressapoco tumulate.
 
"Ehi tu, ragazzo imbronciato,
senti come il vento sospinge
le carrube sino ai baccelli
di papaveri stesi?"
 
Io sentivo mio padre
dondolare, come se lottasse
nel profondo contro un predone
sfacciato.
“Dammi i tuoi averi, la tenuta
ed il campo; se mi ubbidirai,
avrai fortuna.”
 
Ma lui fumava, per dimenticare,
fumava perché la luna dalle colline
non apparisse così alta.
 
Io nascondevo l'ennesimo
imbroglio sotto una tegola che
vibrava dell'ultimo spasimo.
“Assassino di lucertole; guarda
bene le barche di fumo, perché
fra poco diluvierà.”
 
Mio padre infittì la sua tosse,
liberando trame di porpora dalla
pelle del collo.
 
Una scintilla, poi, slavata come
un ristagno di luce attraverso
un'ostinata festuca.
 
“Ecco;il campo delle lucertole
risorte, adesso è il tuo.”
 
 

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