Scritto da © Hjeronimus - Mer, 13/08/2014 - 13:26
Io sono vivo per niente.
Non per la casa. Che me ne importa della casa?. Non per la famiglia: la famiglia è un falso e spiego perché. Il principio di valore è necessariamente trascendentale, è consostanziale all’essere, al linguaggio, all’ultraterreno. Lo stato di famiglia è invece una conditio sine qua non della natura. Esso è immanente, ingenerato, ineluttabile alla fondazione e alla perpetuazione delle specie, non è determinato razionalmente. Si può credere in Dio, nell’arte, nell’ideologia, ma come fare a credere negli istinti? L’istinto (la pulsione) è un dato di fatto, incondizionato e irreversibile e non rientra nell’ordine del principio di valore. E “la famiglia” discende di lì. Ciò che è necessario non è trascendentale. Sarebbe bello se il trascendentale traesse necessità alla condizione umana, invece di poter noi tirare a campare ottimamente anche in totale assenza di “spiriti” ed Olimpi. Ma così è. Il necessario è obbligato e nella sua incontrovertibilità, nel suo destino assegnato e ineludibile, esorbita dalla sfera del valore, dell’essenza e del senso della vita.
Di sicuro non sono vivo per far soldi. Non me n’è mai fregato un accidenti e non ho mai avuto, coerentemente, il becco d’un quattrino. E i soldi, d’altra parte, rientrano in quell’ambito che abbiamo or ora stigmatizzato, quello della pulsione. I soldi sono il potere e il potere è sopraffazione. Siamo agli antipodi di un “vivere per qualcosa”, qui l’essere è solo contro. E il suo nemico, anche se non lo sa, è se stesso. Chi vive per il conquibus si vive contro. Perché lo dico? Perché, oltre a rientrare nelle categorie “animali“ dell’essere, cioè, come nel caso precedente, nel lato pulsionale e quindi necessario del nostro assetto, il soldo si concede all’aspirante come una droga. Chiamato a sostituire i puri rapporti di forza, nonché il principio trascendentale, esso resta tuttavia nient’altro che un surrogato del valore, appeso ad un numeratore che non prevede giammai un responso definitivo. La conseguenza è la tossicomania, in quanto tutto il valore dei soldi non riesce comunque neanche a lambire la soglia del valore, e l’”intossicato” ammucchia sempre più affannosamente dei numeri che non sono mai, non possono mai convertirsi nel Numero di Dio…
Alcuni si nutrono di “Ars politica”, il che potrebbe bene colmare di senso la fatica di stare al mondo. Purtroppo però la politica non arriva mai ad incarnarsi in quell’”arte” dell’intestazione qui sopra. Al contrario, invece di permearsi di quella ragione e di quella lungimiranza immaginata dai pensatori della politica, essa svanisce invariabilmente fra le fauci dei millantatori e dei predoni. E così, quando non degrada propriamente nel delirio, resta comunque in balia di falsi profeti avidi e miopi, ricadendo nella categoria della tossicodipendenza monetaria.
Qualcuno dice: vissi d’arte, vissi d’amore. Vabbéh… Forse forse che l’asino casca proprio qui, in quest’illusione redentrice del potere dell’imagérie, dell’educazione sentimentale. Non posso vivere, e continuare a vivere, per immaginarmi alcunché. I miei sogni si perdono nelle ceneri dell’abisso, dell’oblio. Se tento di ricordarmene, vedo macerie nebbiose, polverulente, cascami d’un cantiere saccheggiato e abbandonato. Ero stato, tanto tempo fa, un coltivatore di sogni, e li alimentavo immergendoli in aspersioni di santità e trasvolando come pioggia leggera sopra i loro tetti friabili, aerei, fatti di nuvole. Ma non ci si poteva vivere comunque. Anche quelle erano scappatoie dal niente della vita e finii per dimenticarmene.
Ah, dimenticavo l’”essere perfettissimo”. “Vivo per il mio Dio”, dice qualcuno. Ecco, un enunciato di tale tenore, il residuo di dignità che il mio comprendonio custodisce si rifiuta di contemplarlo. La metafisica è una bella roba, non discuto. È intrigante, affascinante e, d’altro canto, cosa ne sappiamo dei “misteri” in cui siamo irretiti? Chi può affermare “è” o “non è” a proposito di essenze che vanno oltre i nostri sensi , le nostre percezioni, quando neanche di questi ultimi sappiamo dire: che sono? Da dove vengono? Dove vanno? No, mi attengo ad una certa concretezza e ad una certa maturità. Non posso permettermi un Dio-papà, cordiale e rassicurante, così come non aspetto Babbo Natale sotto l’albero.
Alla fine, ammettiamolo: niente pro o contra per me. Sono vivo per niente.
Non per la casa. Che me ne importa della casa?. Non per la famiglia: la famiglia è un falso e spiego perché. Il principio di valore è necessariamente trascendentale, è consostanziale all’essere, al linguaggio, all’ultraterreno. Lo stato di famiglia è invece una conditio sine qua non della natura. Esso è immanente, ingenerato, ineluttabile alla fondazione e alla perpetuazione delle specie, non è determinato razionalmente. Si può credere in Dio, nell’arte, nell’ideologia, ma come fare a credere negli istinti? L’istinto (la pulsione) è un dato di fatto, incondizionato e irreversibile e non rientra nell’ordine del principio di valore. E “la famiglia” discende di lì. Ciò che è necessario non è trascendentale. Sarebbe bello se il trascendentale traesse necessità alla condizione umana, invece di poter noi tirare a campare ottimamente anche in totale assenza di “spiriti” ed Olimpi. Ma così è. Il necessario è obbligato e nella sua incontrovertibilità, nel suo destino assegnato e ineludibile, esorbita dalla sfera del valore, dell’essenza e del senso della vita.
Di sicuro non sono vivo per far soldi. Non me n’è mai fregato un accidenti e non ho mai avuto, coerentemente, il becco d’un quattrino. E i soldi, d’altra parte, rientrano in quell’ambito che abbiamo or ora stigmatizzato, quello della pulsione. I soldi sono il potere e il potere è sopraffazione. Siamo agli antipodi di un “vivere per qualcosa”, qui l’essere è solo contro. E il suo nemico, anche se non lo sa, è se stesso. Chi vive per il conquibus si vive contro. Perché lo dico? Perché, oltre a rientrare nelle categorie “animali“ dell’essere, cioè, come nel caso precedente, nel lato pulsionale e quindi necessario del nostro assetto, il soldo si concede all’aspirante come una droga. Chiamato a sostituire i puri rapporti di forza, nonché il principio trascendentale, esso resta tuttavia nient’altro che un surrogato del valore, appeso ad un numeratore che non prevede giammai un responso definitivo. La conseguenza è la tossicomania, in quanto tutto il valore dei soldi non riesce comunque neanche a lambire la soglia del valore, e l’”intossicato” ammucchia sempre più affannosamente dei numeri che non sono mai, non possono mai convertirsi nel Numero di Dio…
Alcuni si nutrono di “Ars politica”, il che potrebbe bene colmare di senso la fatica di stare al mondo. Purtroppo però la politica non arriva mai ad incarnarsi in quell’”arte” dell’intestazione qui sopra. Al contrario, invece di permearsi di quella ragione e di quella lungimiranza immaginata dai pensatori della politica, essa svanisce invariabilmente fra le fauci dei millantatori e dei predoni. E così, quando non degrada propriamente nel delirio, resta comunque in balia di falsi profeti avidi e miopi, ricadendo nella categoria della tossicodipendenza monetaria.
Qualcuno dice: vissi d’arte, vissi d’amore. Vabbéh… Forse forse che l’asino casca proprio qui, in quest’illusione redentrice del potere dell’imagérie, dell’educazione sentimentale. Non posso vivere, e continuare a vivere, per immaginarmi alcunché. I miei sogni si perdono nelle ceneri dell’abisso, dell’oblio. Se tento di ricordarmene, vedo macerie nebbiose, polverulente, cascami d’un cantiere saccheggiato e abbandonato. Ero stato, tanto tempo fa, un coltivatore di sogni, e li alimentavo immergendoli in aspersioni di santità e trasvolando come pioggia leggera sopra i loro tetti friabili, aerei, fatti di nuvole. Ma non ci si poteva vivere comunque. Anche quelle erano scappatoie dal niente della vita e finii per dimenticarmene.
Ah, dimenticavo l’”essere perfettissimo”. “Vivo per il mio Dio”, dice qualcuno. Ecco, un enunciato di tale tenore, il residuo di dignità che il mio comprendonio custodisce si rifiuta di contemplarlo. La metafisica è una bella roba, non discuto. È intrigante, affascinante e, d’altro canto, cosa ne sappiamo dei “misteri” in cui siamo irretiti? Chi può affermare “è” o “non è” a proposito di essenze che vanno oltre i nostri sensi , le nostre percezioni, quando neanche di questi ultimi sappiamo dire: che sono? Da dove vengono? Dove vanno? No, mi attengo ad una certa concretezza e ad una certa maturità. Non posso permettermi un Dio-papà, cordiale e rassicurante, così come non aspetto Babbo Natale sotto l’albero.
Alla fine, ammettiamolo: niente pro o contra per me. Sono vivo per niente.
»
- Blog di Hjeronimus
- 843 letture