Scritto da © voceperduta - Lun, 28/04/2014 - 15:04
I.
Non sono un mecenate, non proteggo
nessuno dalla garrota, né dagli scherni
monumentali.
Un giorno però, ho aiutato un'artista
tramortito dal rimpianto;
aveva venduto casa, sciolto le liane dal prato,
venendosi a riparare qui, fra i conserti addobbi
del mio piano rialzato.
Dipinse un quadro, dai toni sonnolenti;
lo scenario adiposo di una taverna per militi
sbandati.
Gli portavo da mangiare, una volta al giorno;
arrivavo mentre lui figgeva l'ultima pennellata.
E mi guardava a stento.
Tuonai alla sua porta un mattino, poiché la tenaglia
di acido era arrivata sino a sotto;
aveva consumato i contorni della tela, e parti delle
mani giravano bendate, quando lui ghermì di colpo
l'ispida boccetta.
Socchiuse gli occhi, come il giovane del suo quadro
tra i perfumi del vino. Poi indicò un volto.
Di una ragazza screziata di rosso, uno smeraldo
appuntato sul collo.
II.
E' così rorido quel viso.
Il sorriso, spuma elegante che trascina
consensi ed annette entusiasmi come fossero
falò turbinanti.
Non esiste volto in natura così delicato, e allo
stesso tempo fremente di polluzioni, da spingere
a giacere su di esso come un'idra bagnata.
La tinta si è presto asciugata.
Il rosa è di un velluto datato, il castano degli occhi
assorbe delle minuscole molecole di luce, tali da farli
convergere ovunque ti riesca a spostare.
Sono mesi che arretro, e mesi che avanzo
alla ricerca della brina di un respiro, un luccichio
corrente che mi faccia balzare e dire, “ ecco, sei tornata
finalmente!”.
Ma ad ogni laconico tramonto, scendo in cantina e ritorno
con una bottiglia di liquore pesato.
Resto in piedi, fermo. Accarezzo la trama di quelle guance
pastose che scansano di un millimetro il bacio fumigato
dell' anonimo trovatore.
Il cadavere dell'artista è sempre stato qui, conficcato dietro
il tendaggio.
Io so che ci guarda, Adele, so che lui ha compreso
quale silenzio non si può rimestare.
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