Scritto da © Anonimo - Ven, 21/03/2014 - 19:40
Odioso, questo "tu",
farsi squallidissimo del già squallido "io".
La sua vuotezza è provata dalla sua indistinguibilità, dalla sua vaghezza spacciata per nobiltà, dall'intercambiabilità persino del suo sesso; ma qui la vaghezza non è che resa e ammissione della qualunquità dell'oggetto.
Ironico e beffardo,
quanto piú questi "tu" si accumulano, quanto piú si accumulano le loro essenze, le loro irripetibilità, le loro determinazioni, tanto piú si fa privo di essenza il "tu", e posticcio.
È vetro inutile, il "tu", quadrato di asfalto muto, inerte pezzo qualunque di mondo (mondo non fatto per schiantarci contro la faccia, né per poggiarci qualche muscolo scuoiato di sé).
È come parlare di fantasmi, di una qualunque immagine mentale; è mero animismo, spudorato, pacioccone, che non avrà mai alcuna giustificazione, che non avrà mai alcun mistero.
È come essere rivolti a nessuno, è come essere rivolti direttamente al mondo.
Nessuna nobilitazione, nessuna degradazione possono allontanare il "tu" dalla sua qualunquità, cioé semplicemente il suo abissale, irrimediabile rimanere ciò che è; il suo dovere, voler rimanere solo ciò che è o, peggio ancora, solo più profondamente.
Nessuna opera salverà mai il "tu", né men che meno chi la fa. È auspicapile solo che nessuno di questi fattori impedisca all'opera di trascinarsi fuori dalla banalità da cui ha origine.
Ovviamente neanche l'opera è importante (se ci fosse ancora un "importante", un "meglio", sarebbero sempre per un "io", che però qui è già dato come irrilevante); l'opera non salva niente e non c'è niente che debba essere salvato, nemmeno l'opera. Dimostra soltanto che le cose, in ultima analisi, vengono create dal nulla; che lo sguardo potrà cadere sul mondo o su un qualsivoglia "tu", e si otterrà la stessa immaginaria risposta, un riflesso senza vita, un'ennesima forma del nulla.
farsi squallidissimo del già squallido "io".
La sua vuotezza è provata dalla sua indistinguibilità, dalla sua vaghezza spacciata per nobiltà, dall'intercambiabilità persino del suo sesso; ma qui la vaghezza non è che resa e ammissione della qualunquità dell'oggetto.
Ironico e beffardo,
quanto piú questi "tu" si accumulano, quanto piú si accumulano le loro essenze, le loro irripetibilità, le loro determinazioni, tanto piú si fa privo di essenza il "tu", e posticcio.
È vetro inutile, il "tu", quadrato di asfalto muto, inerte pezzo qualunque di mondo (mondo non fatto per schiantarci contro la faccia, né per poggiarci qualche muscolo scuoiato di sé).
È come parlare di fantasmi, di una qualunque immagine mentale; è mero animismo, spudorato, pacioccone, che non avrà mai alcuna giustificazione, che non avrà mai alcun mistero.
È come essere rivolti a nessuno, è come essere rivolti direttamente al mondo.
Nessuna nobilitazione, nessuna degradazione possono allontanare il "tu" dalla sua qualunquità, cioé semplicemente il suo abissale, irrimediabile rimanere ciò che è; il suo dovere, voler rimanere solo ciò che è o, peggio ancora, solo più profondamente.
Nessuna opera salverà mai il "tu", né men che meno chi la fa. È auspicapile solo che nessuno di questi fattori impedisca all'opera di trascinarsi fuori dalla banalità da cui ha origine.
Ovviamente neanche l'opera è importante (se ci fosse ancora un "importante", un "meglio", sarebbero sempre per un "io", che però qui è già dato come irrilevante); l'opera non salva niente e non c'è niente che debba essere salvato, nemmeno l'opera. Dimostra soltanto che le cose, in ultima analisi, vengono create dal nulla; che lo sguardo potrà cadere sul mondo o su un qualsivoglia "tu", e si otterrà la stessa immaginaria risposta, un riflesso senza vita, un'ennesima forma del nulla.
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