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Al Gius

Al Gius non piaceva molto allontanarsi dal bosco, dove i militari raramente entravano, vuoi per una sorta di scarsa dimestichezza, vuoi per il timore degli agguati. Aveva smesso pure di segnare i giorni trascorsi lì, sulla corteccia bianca di una betulla e ora le incisioni si erano orlate, logorandosi in una riga scura, che segnava il tronco come sangue d’albero rappreso. Anche il ferro del fucile gli sembrava consunto e ne osservava gli strani puntini incassati, sparsi qua e là, come se il metallo fosse gravato dalla sua stessa spossatezza. Non sapeva nemmeno da quanto fossero lì, né quando avessero iniziato a farsi, se uno per volta o tutto insieme, nel cedimento del ferro. Una sorta di riluttanza lo pervase, e abbandonò l’arma appoggiandola all’albero più vicino. Da giorni non sentiva più fame né sonno, soltanto una specie di sete infeconda che gli rendeva la bocca impastata, e provava la sensazione che si fosse riempita di sabbia.
Gli altri partigiani erano a caccia, per aver un po’ di carne da abbrustolire sul fuoco, ma il vino era finito.
Il Gius si avviò lentamente verso la sorgente del Rì per prender dell’acqua fresca. Gli avevano lasciato quell’incombenza che almeno... si muovesse... qualche passo... la fonte non era lontana. Sapevano quanto gli piacesse starsene lì, abbarbicato sull’orlo del Rì, a guardare l’acqua che inevitabilmente scorreva giù fino a valle, raggiungeva la Piana, s’infilava tra le case del paese, ammorbidiva l’aria, richiamava l’allegria dei bambini che nonostante la guerra gorgheggiavano ancora e spandeva all’intorno quella gioia attutita, dalle sponde del torrente fin dentro le case, quelle ancora abitate.
Come ha fatto innumerevoli volte, si ferma vicino al corso d’acqua, in un punto dove, dall’alto della montagna si riesce a scorgere tutto il paese. Riconosce ogni cosa, i cortili, gli orti e le strette viuzze che collegano le case una con l’altra, eppure si sente un estraneo. Troppo tempo è ormai passato, vissuto quassù fra le rocce, coinvolto in azioni di guerra o guerriglia, dove anche le forme più elementari di vita sembravano essersi fermate, nei giorni e nelle ore in cui il richiamo alla Piana e alla vita da uomo si faceva più forte e struggente, man mano che il tempo scorreva. Ora aveva imparato a parlare con gli alberi e il suono vibrante dell’acqua del Rì poteva dargli ragione.
Forse avrebbe dovuto restarsene qui anche quella sera... non sa più quanti giorni sono passati da quella sera.. Restarsene seduto sull’orlo del fiume, come al solito, non ci sarebbe stato nulla di strano per un partigiano, aspettando che il buio ricoprisse anche l’ultimo bagliore di luce sprigionato dall’acqua frustata dai raggi lunari e non lasciarsi invogliare da quella nostalgia, dal quel richiamo così udibile dentro nel petto e da quella voglia che aveva scatenato un’ansia irrefrenabile di correre giù lungo i prati d’erba alta, fra sentieri scoscesi... e correre fra gli alberi, sagome nere di pece, e incontro la notte... manca il respiro ma continuare senza fermarsi, senza chiedersi nulla, né dei pericoli, dei soldati, di chi avrebbe potuto tradirlo... ma scendere dalla montagna, sempre più in basso fino a raggiunger la Piana e intravedere infine le luci e le case... la sua casa infine... dove c’è Lina.
La luce è accesa e la paura che non ha mai provato, nemmeno quando è inseguito e braccato dai cecchini, la paura lo blocca, spezzandogli la corsa e lo fa inginocchiare. Cade e l’erba bagnata del prato penetra nella stoffa dei pantaloni logori. È una sensazione di freschezza come quella che ha gustato tante volte di sera a ridosso della valle del Rì, nascosta lassù fra rocce di breccia e dolomie friabili.
Una luce un po’ fioca dai vetri graffiati della finestra lascia intravedere due sagome... un uomo e una donna. Lui si avvicina e la prende nei fianchi, con la bocca cerca il suo collo. Lei reclina la testa all'indietro e si lascia baciare, ma è come fosse già stanca.
Il Gius fuori nel freddo ha la spalla che brucia, forse un cecchino lo ha beccato di già, lì dove Lina si lasciava andare... quando stava con lui.
Lina è lì... le trecce colore del grano maturo, la pelle un po’ ruvida delle mani, le labbra sottili poco inclini al sorriso, e il seno tondo e caldo che aveva preso in bocca e gustato, nutrendosi, come un bambino, di quelli che ancora rincorrono l’acqua del Rì, nei giorni di calma.

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