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Nome: Voce. Cognome: Perduta. Matricola: Indefinita.

 
 
 
 
"Che c'è? Devi dirmi qualcosa? Stai bene? “
 
 
Dopo tutto, era stata mia amica. E nel leggere le sue parole, poste lì sul davanzale notturno,
la parte più estemporanea di me avrebbe dovuto risponderle; “ Si certo sto bene;e tu?”
Invece non l'ha fatto. Perché tante domande si rincorrono sul filo di curiosità accentate con lo spasimo di scienziati novelli; quante risposte si danno credendo di saper dire qualcosa di compiuto.
E poi, se gli strumenti contano più dell'animosità del momento, avrei dovuto ribatterle; “Semplicemente sto. Siamo io, una lampada dodici volts e il portatile con la cerniera sfaldata.
Il resto, amica mia, è puro addobbo di scena.”
 
 
 
“La solitudine in fondo, è una strada silenziosa e dritta”
 
Le parole non sono così necessarie come sembrano. Uno percorre una carreggiata a più incroci, potrebbe andare da qualsiasi parte, attraversari binari pieni di rumorosi significanti, fari semanticamente splendenti, sintassi che rinfrescano il palato e donano un senso corrente di sazietà di cui c'è un forte bisogno.
Poi però, scopri che esse si sono prese più attenzioni e responsabilità di quelle che inizialmente erano le tue intenzioni; si sono dilatate come onde radar a circuire la tua bocca. E sei obbligato a passare in mezzo a loro per potere comunicare.
Conosci la realtà dei doppisensi, l'errore grammaticale ti tallona, ti abitui a curare l'espressione con lo stesso galateo con cui ripiegheresti in quattro il tuo tovagliolo a un picnic per singles.
Sei costretto a riprendere più volte i concetti , a spalmare i sentimenti perché possano arrivare a le persone a te care.
Intanto qualcuna di esse l'hai già perduta. Distanza, incomunicabilità la versione ufficiale. Intanto che ancora la pensi, sei nuovamente costretto a svoltare.
 
 
 
 
 
L'arte; un cunicolo d'uscita.
 
E se allora smetto di parlare, e prendo le parole per farci qualcos' altro? Un po' come quando, anziché usare le normali costruzioni per erigere un ponte o imitare una giraffa, mi mettessi ad adoperare i mattoncini per costruire qualcosa che non avrà mai del tutto una forma riconosciuta; non puoi chiamarla né penna, né vassoio. L'unica cosa che le riconosci però, è che ti affascina per come è fatta, la sua totalità ti conturba; diamine, diamogli un nome, pensi. Però non riesci a trovare nessuna parola in grado di chiarire il compiacimento che provi nel tenerla in mano, nel guardarla da una distanza a te preferita.Così l'Arte ha fregato il senso comune.
(Un po' come l'Amore, quando non si presta all'alfabeto del singolo, né alle sigle e alle interpunzioni che ne congelano il divenire.)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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