Scritto da © Marco valdo - Mar, 21/01/2014 - 10:32
Sognava sovente il piano di un biliardino, i respingenti, i funghi, le palette, la bilia di metallo non arrivava mai nei pressi delle alette, continuava a segnare le conseguenze sul numeratore trovando sponde sempre differenti, la tensione sugli indici si palesava di tanto in tanto con un scatto a vuoto e quella che si presentava come una eccellente prestazione, altro non era che combinazione.
Quando viene destato dal disagio e trascinato dalla vescica in bagno, evita per quanto gli riesce la riflessione, anche della sua immagine, ma non questa notte. Questa notte ha deciso di fare la chiusura dei conti, saldare i debiti, incassare i crediti e cominciare di nuovo in pareggio, accende allora gli spot sopra gli specchi e osserva il volto, il tronco, che la sua naturale prudenza ha preservato, ma non è quello che vuole vedere, vuole invece trovare i segni degli urti che ha evitato, cerca di dedurli dai rimbalzi, ora il suo corpo è una mappa spiegata, l'usura dei bordi della dimensione riposta indicano il tempo, l'inchiostro delle descrizioni è la cronologia; c'è una ferita sul costato, fatta da un capraio vestito in divisa, che sapeva come trovare il cuore degli altri, non avrebbe più creduto da quel istante, avrebbe fatto battere il cuore di meccanica precisa, come la corona dei bozzi delle imprevidenze lo costringeva a controllare tutti i passi, non si sarebbe mai più meravigliato di un imbarazzo di ombra agli occhi, ne avrebbe toccato più il duro dello sconosciuto.
Si allontana sino a vedersi le ginocchia e gli stinchi, gli sfregi della pietra erano un amore materno antico, quando decise di costringere il resto in nomi generici e scordarli come un non so come si chiama, allora come una perversione appoggia le rotule sul freddo della ceramica, non lo deve a nessuno, non pensa a nessuno, scompare il riflesso, si cerca le mani e con queste consola il corpo immacolato, non deve niente e niente gli è dovuto, l'unica consolazione è l'autorità del perdono.
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