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Apolitica apocalittica

Andò così. Verso la fine dell’anno 2013 la Repubblica neo-democratica di Ilatia (leggi latinamente Ilazia), si trovò ad essere decapitata degli storici leader delle due avverse correnti di destra e sinistra. La stella mendace dello Chef-padrone della destra, il signor Burlasconi Silvio, uno sgangherato demagogo, boss di una ghenga di servi flaccidi e oleosi, ed etiam pregiudicato e pedofilo, si oscurò e decadde, proprio come capitò ad Al Capone, a causa dei suoi reati fiscali, ch’egli aveva sottovalutato. E dall’altra parte, la pietrificata eminenza che tesseva sul retro di ogni tela della sinistra, signor D’a’mela Massimo, era costretto, un mese dopo il precedente, a cedere il passo a un “nuovo che avanza” neanche troppo diverso da lui, ma più giovane e rampante…
Così, la neo-repubblica  si trovò senza capi né guide,  con ciò sia pure si trattasse di capi ottusi e inefficienti. Il D’a’mela in particolare, che passava per personalità intelligente, mito d’altronde coltivato e incrementato da lui stesso, si era portato ad una tale irresoluzione che sulla sua lapide avrebbero ben posto di lì a poco le parole del Leopardi:
OSSA
DI MASSIMO D’A’MELA
NATO ALLE OPERE VIRTUOSE
E ALLA GLORIA
VISSUTO OZIOSO E DISUTILE
E MORTO SENZA FAMA
NON IGNARO DELLA NATURA
NÉ DELLA FORTUNA
SUA
Capitò che in una tale concitazione si intromettesse un’aggravante “periclitante”, ossia l’inquisizione continua di uno sputasentenze iracondo e gonfio d’odio che, pieno di grilli per la testa, imberciava inopinatamente le masse per indurle al suo stesso odio e poterle poi rendere duttili al proprio disegno di potere. Costui non era in grado di prevedere conseguenze alla sua propria visceralità, anzi neanche arrivava a scorgere sotto di sé quella smania di potere che invece gli attecchiva in cuore. Fu quindi colto in contrattempo totale quando il pieno d’odio che lui stesso aveva comminato a quella plebe si rovesciò catastroficamente sull’intero assetto petit-bourgeois della società. Si vide così che i suoi slogan eran sì digeriti e condivisi, ma non in funzione di principi etici o ideologici, bensì soltanto così, di pancia, in una Jacquerie forsennata ed egoista che rimpiangeva solo i tempi dorati della corruzione e l’evasione fiscale e non si rassegnava alla strage oramai mondiale delle vacche grasse.    
Ma le vacche erano ormai smagrite e non pioveva più neanche sul bagnato… sì che la massa, invigliacchita dalla propedeutica del grilloide assatanato e affamata del becchime fin lì sgraffignato e adesso invece svanito, si riversava furiosa nelle belle piazze antiche d’Ilatia a rivendicare con virulenza il proprio diritto al bottino, alla spartizione del malloppo..
L’Ilatia era stata la terra avita di un popolo povero e gentile. Un popolo che si fregiava perciò del titolo di “brava gente”, che, tutto sommato, ossia soprassedendo al ventennio mussoliniano e agli incolmabili ritardi civili, si era comunque sempre portato con umanità e indulgenza. Parte di tale patrimonio sopravviveva ai cupi giorni di cui parliamo- ma già da anni non faceva più “maggioranza”. Questa, la massa, il volgo, la plebaglia, si sa, è più incline a concedersi agli azzeccagarbugli fanfaroni e arruffoni; ai ciurmatori mercanti di nuvole e di traveggole a buon mercato, che al sano raziocinio della realtà. così, dopo vent’anni di tali demagogie, s’era condotto, questo popolo, a un tale declino morale, civile ed economico che nessuna ratio era più in grado di moderarne le spinte più radicali, concupiscenti, distruttive. Un intero popolo di primati famelici e dissennati  si gettava sulle piazze in una indomita bramosia di afferrare il consumo prima che si estinguesse. Una ossessione, una frenesia di “cose”, di “avere” s’era impossessata di costoro proprio sulla linea di tramonto di quella falsa promessa d’opulenza che per tanti anni aveva offuscato le loro coscienze e quindi il loro discernimento.
Non sapevan più cosa fosse bene o male. Cercavano alla cieca tastando con la sinistra e bastonando con la destra. Si armarono così di mazze, di vanghe, di rastrelli e si precipitarono in istrada con nelle orecchie le grida iraconde del pazzoide con la testa piena di grilli, e in bocca un odio primitivo verso tutto ciò che sapesse di pensiero, di logica, di dialogo. Volevano riavere indietro il privilegio ingiusto che prima li aveva resi ricchi e che adesso invece gli veniva sottratto, e proprio grazie a quelli cui loro stessi, con un uso analfabeta e naive della democrazia, avevano consegnato la loro fiducia e quindi i posti di comando,. Su questo erano risoluti: non avrebbero rinunciato ai loro privilegi, a costo di abbattere quelli di chi glieli aveva fatti percepire, ossia dei politici corrotti cui da sempre avevano dato il loro consenso in contromoneta di quelle “offerte”. E queste ora venivan meno e loro decisero di “fare da sé”. Ciò che invece va da sé, è che “altre categorie” non impiegarono un secondo a salire su quel treno e che immediatamente i peggiori avanzi di galero di tutto il paese si posero a rivendicare la paternità di quello scoppio d’ira, di invidia di classe, di disperato qualunquismo  affamato che non sapeva spiegarsi il proprio depauperamento. Una ondata di violenta insapienza si apparecchiava così a travolgere le troppo sottili barriere che una fragile democrazia aveva tentato di opporre alla cieca vocazione autoritaria che covava nel genoma di quelle genti… L’uomo qualunque era ottenebrato da una cupa smania di vendetta, unita ad una brama oscura di genuflettersi da schiavo ad un nuovo signore

 

A.A.A. Cercasi finale. Sono graditi suggerimenti. 

 

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