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L'aforisma 295 di Al di là del bene e del male
di Friedrich Nietzsche

Una traduzione italiana:
"Il genio del cuore, quale lo possiede quel Grande Occulto, il dio inappagato di seduzione, il pifferaio magico che ha per preda la coscienza, la cui voce sa inabissarsi fin nelle pulsioni innate di ogni anima, che non parola esprime, non sguardo scocca, in cui non s'insinui una risonanza di adescamento, non abiti un controsenso sospetto; colui alla cui maestria di artefice pertiene il saper come apparire - e non per ciò che è, ma per ciò che a coloro che lo seguono sia ulterior costrizione a farsi a lui più d'appresso, a diventare più intimamente sostanza delle sue intenzioni riposte: - il genio del cuore, che ogni clamore dissonante di lode sa far nota falsa, che ad ascoltare insegna, leviga l'anime scabrose e risplendere le fa di una nuova attitudine, tratta a forza di lèsina sulla materia ritrosa - giacere immote come specchi, perché del cielo profondo possano farsi, infine, immagine.

b) L'ultima estate della coscienza

In questo aforisma 295, il penultimo di Al di là del bene e del male, si situa il momento fatale della produzione niciana. Qui, la Natura pose fine al tempo lineare della sua mente; lo fece precipitare alle Madri; lo sedusse al gioco della regressione: da quel momento Nietzsche riuscì a non essere più un individuo, ma a diventare il suo Sosia, tanto a lungo cercato: il dio Dyonisos.
Nietzsche incontrò Dyonisos a Colonia, all'inizio del 1865, in una casa di tolleranza. Aveva chiesto ad un cocchiere di essere portato in un buon ristorante. Quando capitò nella sala del bordello, si diresse, come in trance, verso il pianoforte, e prese ad improvvisare. Ma poi vide qualcosa che gli piacque. Per liberare il suo erotismo, lo aveva dovuto convertire in musica. C'è più Nietzsche in tutto questo che in centinaia di saggi scritti su di lui. Quella fu l'unica volta in cui fece l'amore. La prostituta era malata di sifilide. La vergogna impedì a Nietzsche di farsi curare. Entro un anno cominciarono i disturbi alla vista ed i lancinanti mal di testa, che lo costrinsero alla fine a congedarsi dall'Università di Basilea, in cui, a soli ventiquattro anni, aveva ottenuto la cattedra di Filologia. Così Dyonisos aveva fecondato Nietzsche. La malattia lo costrinse alla forma - irta e ambigua - dell'aforisma. A rinunciare a qualsiasi sintesi, qualsiasi sistema. La consapevolezza della natura del suo male divenne per Nietzsche insieme maledizione e benedizione. Divenne esule: dagli amici, dalla vita, da se stesso. A Sils-Maria, nelle Alpi Svizzere, durante interminabili passeggiate, concepiva mentalmente i suoi aforismi, ognuno dei quali veniva riscritto decine di volte, fino a raggiungere una secchezza sepolcrale, cui si unisce un'ambiguità espressiva ad essa contrastante ed intimamente legata. Tradurre Nietzsche significa avere fiducia in lui, nel suo aprire il discorso, sospendere il significato, allacciare relazioni tra parti lontane del periodo; fede nella singolare, innovativa 'serialità' del suo stile. Non c'è nulla di peggio, traducendo Nietzsche, che spezzare, chiarire, interpretare laddove l'intento è quello di raggiungere una stratificazione di 'controtesti', di polivalenze, di sfumature trascoloranti. È la forma - la più ardua che esista - stessa dell'aforisma, che procede per contrapposizioni di antitesi e sentenze, per implicite che diventan prima deduttive, e poi apodittiche, a contorcere lo stile: il miracolo di Nietzsche è che alla massima ramificazione del senso corrisponde la massima chiarezza del significato.

Note:
Nietzsche è, insieme ad Hölderlin e Goethe, il massimo stilista della letteratura tedesca. La sua lingua è anche una storia della lingua, entro cui si possono ravvisare diversi strati. Da Goethe Nietzsche riprende la teoria della Urpflanze: l'idea dello stile come forma organica, il cui sviluppo segue le stesse leggi delle forme viventi: dalla cellula all'organismo intero. L'idea che ogni scrittura sia poesia, e che il senso della poesia stia nell'"esprimere piuttosto che esplicare", è un'eredità di Hölderlin. Il Dionisiaco niciano ha trovato la sua prima formulazione in Hamann ed Herder, i due protoromantici per cui lo 'Spirito', inteso come afflato vitale, pervade la Natura, e Natura e Spirito trovano nell'Uomo la loro sintesi. Nietzsche conosceva bene una certa parte in ombra della cultura tedesca: la mistica rinascimentale; in particolare J. Böhme e Mastro Echart, da cui riprende la concezione della parola come 'evocazione' ed 'enigma'. Da Heine gli deriva l'idea che il grottesco sia l'altra faccia del tragico; da Wagner un ricorso all'allitterazione, ai giochi di parole sulle radici semantiche; un certo arcaismo letterario, insomma. Sarebbe interessante, ma lo cercheremo di fare un giorno questo sogno: riflettere sulla fascinazione che esercitò sempre su di lui un quadro di Dürer, Il cavaliere, la morte e il diavolo. Si è molto studiato il rapporto di Nietzsche con la musica, ma per niente il suo rapporto con le arti figurative. Invece la lunga frequentazione con Burckhardt, l'autore di La civiltà del Rinascimento in Italia, l'amicizia con Overbeck, uno storico delle religioni che dedicò la vita alla mistica della Riforma, la conoscenza delle teorie di Rudolf Otto, esperto del dionisiaco nella civiltà classica, fecero sempre propendere Nietzsche ad un uso dell'immaginazione e della metafora come potente antidoto alla sterile fantasia, "priva di forma e di definizione", come la definisce Coleridge. Alla metafora Nietzsche chiedeva di conferire allo stile l'aura del numinosum. In accordo col Lutero di Overbech - un saggio meraviglioso e misconosciuto, che andrebbe tradotto - Nietzsche considera la filosofia "wissenschaft nach winke": conoscenza attraverso i segni. I segni che per la mistica luterana son simboli, e quindi figure. Quest'asse segni-simboli-figure costituisce l'orientamento poetico di qualsiasi interpretazione niciana fondata su solide basi. Naturalmente, un ulteriore influsso derivò a Nietzsche dai maestri tedeschi dell'aforisma: Novalis, F. Schlegel ed il fisico Lichtenberg, il cui nome ci dovrebbe portare ai rapporti, complessi e non ancora ben studiati, di Nietzsche col Positivismo, che furono più stretti di quanto si possa supporre. Basti pensare che uno dei suoi primi ammiratori, in Europa, fu lo storico Taine. Nietzsche è persuaso che la razza, il clima, l'alimentazione, il corredo genetico, le abitudini siano tutti fattori condizionanti il pensiero, la civiltà, la cultura. Che la filosofia sia prima di tutto studio della genealogia: del linguaggio, della morale... Il Positivismo, però, non è che un grimaldello per aprire il circuito chiuso dell'Idealismo; appartiene alla pars destruens della filosofia niciana, malauguratamente l'unica parte del suo pensiero che ci sia rimasta.
Ecco disegnata la mappa che un traduttore di Nietzsche deve portarsi con sé. Senza dimenticare che il filosofo fu anche compositore, e quindi tutto ciò che, in lui, da una lingua all'altro, non ritorni ad essere melos, intenzione al dire intesa come presenza di armonici, sensi occulti, e respiro, scansione teatrale del pensiero visto come agire dinamico: chiunque non renda la prosa niciana musica pura, ha perso l'unica chiave interprativa possibile.

 

d) Il sonno della ragione genera controtesti: ovvero Beatrice e Laura

Nietzsche, infatti, non sopravvisse alla notte della sua ragione. Dell'alba del suo pensiero - che doveva essere l'alba di una nuova epoca per l'umanità - a noi non resta che un pulviscolo d'oro sospeso sul mare, ed un pugno di bigliettini deliranti, spediti da Torino all'inizio del 1889, e firmati 'Dyonisos'. Alcuni sono indirizzati ad Arianna, alias Cosima Liszt, moglie di Wagner, ed amata immortale di Nietzsche."

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Cosi parlò Zarat, ora vediamo cosa ci dice il Nostro.

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